Ode a lato #0 – “Wittgenstein” di Jarman per fiori e lacerti – Dario Vanasia e Angelo Rendo

Partiamo da questa affermazione di Wittgenstein in punto di morte: “Mi sarebbe piaciuto scrivere un libro di filosofia fatto solo da scherzi, ma non ho humour.”. E qui rimaniamo per un po’, il tempo di degenerare dal genere, macro e micro, iconoclasta e fatalmente intellettuale. Concetti percepiti solo nel novero dell’intellettualità che l’estemporaneo annichilisce. In sette, otto puntate – a cura di Dario Vanasia e Angelo Rendo – riproporremo per lacerti e fiori “Wittgenstein”, film di Derek Jarman del 1993. Una rilettura lirica laterale.

Appunti dal buon senso senza senso (73) – Angelo Rendo

Il poema compare alla fine
come una festa di leoni
in mutande sulle strisce pedonali.

E sospetto, sospetto
che il vuoto porti
riconoscenza alla testa vuota,
pienezza al cuore che vuoto non è
e sa far male.

Tutto nuoce
se l’universo
senso della rovina nasconde
il peto malevolente del potere. Dell’io
posso di una primadonna.

O del primouomo che non è
né l’una né l’altro, certamente
un infante, o una femminuccia.

 

Gregorio Nazianzeno, “De natura humana” (vv. 1 – 20) – trad. Rendo

Χθιζὸς ἐμοῖϛ ἀχέεσσι τετρυμένος, οἶος ἀπʹἄλλων

ᾕμην ἐν σκιερῷ ἄλσει, θυμὸν ἔδων·

καὶ γάρ πως φιλέω τόδε φάρμακον ἐν παθέεσσιν,

αὐτὸς ἐμῷ θυμῷ προσλαλέειν ἀκέων.

Αὖραι δʹἐψιθύριζον ἅμʹὀρνιθέεσσιν ἀοιδοῖς,

καλὸν ἀπʹἀκρεμόνων κῶμα χαριζόμεναι

καὶ μάλα περ θυμῷ κεκαφηότι. Οἱ δʹἀπὸ δένδρων

στηθομελεῖς, λιγυροί, ἠελίοιο φίλοι.

τέττιγες λαλαγεῦντες ὅλον κατεφώνεον ἄλσος.

Πὰρ δʹὕδωρ ψυχρὸν ἐγγὺς ἔκλυζε πόδας

ἦκα ῥέον δροσεροῖο διʹἄλσεος. Αὐτὰρ ἔγωγε

τὼς ἐχόμην κρατερῶς ἄλγεος, ὡς ἐχόμην.

Τῶν μὲν ἄρʹοὐκ ἀλέγιζον, ἐπεὶ νόος, εὖτε πυκασθῇ

ἄλγεσιν, οὐκ ἐθέλει τέρψιος ἀντιάειν.

Αὐτος δὲ στροφάλιγξιν ἑλισσομένοιο νόοιο,

τοίην ἀντιπάλων δῆριν ἔχων ἐπέων·

Τίς γενόμην, τίς δʹεἰμί, τί δʹἔσσομαι; Οὐ σάφα οἶδα.

Οὐδὲ μὲν ὅστις ἐμοῦ πλειότερος σοφίην.

Άλλʹαὐτὸς νεφέλῃ κεκαλυμμένος ἔνθα καὶ ἔνθα

πλάζομαι οὐδὲν ἔχων, οὐδʹὄναρ, ὦν ποθέω.

**

Afflitto e lontano.

Siedo in un bosco, e mangio
l’anima. Faccio

così nel dolore: rimango
in silenzio fra me e me.

Soffi di vento e canti di uccelli,
sonno profondissimo sonno
dai rami all’anima svanita. E quelli
melodiosi, dolci, solari.

Le cicale friniscono nel bosco
dove lenta scorre l’acqua
che fredda lambisce i piedi.

Ma mi tiene una pena, mi domina;
bracca.
Di nulla mi interessa. La mente stretta
dal dolore non vuole guardare
di faccia la gioia.
Nell’occhio del turbine
sostengo una lotta di flussi contrari.

Chi sono stato? Chi sono? Cosa sarò? Non lo so più.
Né so chi di me più sappia.

Coperto da una nube vado
errando qua e là e nulla
conchiudo
nemmeno in sogno
ciò che desidero.

Appunti dal buon senso senza senso (72) – Angelo Rendo

In fondo, lì, in basso, vedi? Non vedrai nulla. Passa sotto le nostre teste e sopra i nostri piedi; per quelle rosse tubazioni che il vento nemmeno tocca un nauseabondo fetore di morto. Topo.

Che bel prato! E quella legna accatastata e morsa dai cavalli, e i topi che sfrecciano al suono di Vivaldi! Dove vanno, in quale camposanto segano la loro vita? E i tarli, i tarli del Monsieur, la ribalta delle cose false, quando l’entrata diviene augurale e le porte spariscono. Diciamo così al governo, e diciamo così al giudice: “E’ ora di finirla di fare parola ai letterati nullafacenti e smangiucchiati e manierati di come si sta al tavolo della legge!” “E che minchia e minchia, dolcezza, Signore, è morto un topo, o forse più, che minchia! Se gira che gira, al massimo sconterete un distinto pezzo di pane al mercato, là, vede, vicino alla saia. Ora vede.”

Appunti dal buon senso senza senso (71) – Angelo Rendo

Lo accompagnava un becchino non di professione. Era un povero di spirito? Chi può affermare una tale cosa? Che poi cosa è questa cosa che fa brutta la pagina? Mancanza di giudizio? O pregiudizio su un tale la cui professione non è tale? Era un amico? Uno di passaggio che si era addormentato mentre quello continuava a dormire? A perdere cosa?? Spirito? Spirito e soldi? Era un beone, un giocatore di slot-machine? Un gratta e vinci? Un dissipatore di spirito? Un accumulatore di pregiudizi? Corresponsabile dello sfascio di un luogo, o di un tempo che non esiste? Uno a cui fare credito? Talmente impassulunuto da non comprendere che il sarcasmo di un avventore casuale sul posto che li accomunava fosse a lui diretto? Boh, bah, insomma. Se fossimo capaci di stendere un lenzuolo da macchina a macchina coi conducenti sepolti dentro, capiremmo che un buon osservatore si è sempre fatto i cazzi suoi. O del primo, del secondo, del terzo senza che il quarto, lui stesso, si accorgesse di quanto l’accecamento abbia sempre dato conferma alla verità.

Appunti dal buon senso senza senso (69) – Angelo Rendo

Questo sacco vuoto che il vento sospinge e che in sua mancanza è più fermo della notte; del verso che esce e più non torna e dai campi pieni di sole caracollando va al lume antico, al naso, alle radici.

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La cadenza non deve essere smaltita con un atto di volontà cursoria, il controllo ritarda il compimento, come la pedanteria di un padre riduce l’assetto migratorio delle idee, vincolando il figlio a una attenzione mal sopportata. Una mignatta che svapora la libertà.

 

Appunti dal buon senso senza senso (68) – Angelo Rendo

L’amicizia è l’ordine dell’impazienza, un globo irregolare tentato dai vertici del disprezzo. Sebbene la filologia preordini il calmiere della bella veduta, sempre nella zuppa siamo; l’inganno prende per mano la stoltezza e non c’è vecchiaia che possa trasformare il rigore in fedeltà, la rabbia in zelo. Quel che si è fa leva sul da farsi.