Teresa Zuccaro
“La fabbrica del vento” – di Teresa Zuccaro
Letture e traduzioni 2003-7, di Gianluca D’Andrea
La capacità di dialogo di Gianluca D’Andrea risulta accresciuta e arricchita dall’insieme delle letture -ma anche traduzioni e un testo autonomo preliminare- offerte a “nabanassar” in tre anni, letture che volentieri rilasciamo in file unico .pdf per comodità di consultazione e primo rendiconto.
E’ opinione diffusa che la generazione dei trentenni abbia grossomodo esaurito la spinta che l’aveva caratterizzata nel decennio passato, spinta concretizzata in numerose antologie e articoli di costume, prima che di critica letteraria. Lo stesso portalino “nabanassar” ha via via perduto la verve, vuoi per l’allentamento dei contatti personali tra i membri di redazione, vuoi per naturale evoluzione e vicende personali. Si e’ di molto affievolita la proposta nel nostro sito italiano, mentre e’ ancora allo stato di gestazione in quello inglese.
Una domanda e’ quindi d’obbligo: cosa farci con la poesia nel 2007 ma, soprattutto, cosa fare dell’aspetto legato alla comunicazione poetica in rete? La diffusione dei blog ha contribuito a disperdere le forze; le competenze si fanno dubbie, annacquate dall’ have-your-say del web 2.0; e un clima da parruccheria tiene basso il livello dello scambio. Soprattutto, manca la tensione al risultato complessivo, all’opera compiuta che infine giustifichi lo sforzo.
Ecco dunque che il librino di D’Andrea vorrebbe invitare ad un cambio di rotta, ad una produzione meno giornaliera di parole, ma diluita, un insieme di sassolini che tracciano una via e che, nel caso di Gianluca, indicano un’evoluzione nel rapporto con la propria personale ispirazione artistica, che poi e’ di matrice schiettamente filosofica.
Dall’Inno metalinguistico sproiettato che apre il volume e insiste sul dualismo fra ritornare e stornare in itinere, con quest’ultimo a creare un mondo, si passa al mondo realizzato e nominato: Wallace Stevens, Luciano Neri, Gabriel Del Sarto, Massimo Gezzi, Marco Simonelli, Jorge Guillen e Gary Soto, Valerio Magrelli, Jacopo Ricciardi, Teresa Zuccaro, Flavio Santi, Stefano Lorefice. Se c’e’ un servizio che uno studioso vicino alla prassi, quale D’Andrea si e’ rivelato in questo inizio di percorso, doverosamente deve alla comunità dei poeti e dei lettori, questo e’ offrire la propria interpretazione delle opere, facendone a sua volta un’ Opera.
E’ dunque con piacere e con mio vivo ringraziamento per la sua amicizia telematica, che raccogliamo questi scritti per offrirli alla rete, contribuendo alla tessitura delle maglie importanti: poeti e studiosi che scrivono e leggono opere di altri poeti e altri studiosi.
Giuseppe Cornacchia – http://www.nabanassar.com – settembre 2007
………scarica il librino di D’Andrea su: http://www.nabanassar.com/nabanassariana.pdf
Invito all’ascolto dei Bachi da pietra – di Teresa Zuccaro
[Circa un mese fa ho invitato Francesco Lauretta e Teresa Zuccaro a scrivere per Nabanassar degli inviti all’ascolto senza pretese, un nuovo spazio. E’ arrivato il momento. Buona lettura e buon ascolto!
A. R.]
Difficile definire la musica dei Bachi da pietra, se anche Giovanni Succi, voce, parole e musica dei Bachi, dice: Neanche noi sappiamo dire che tipo di musica siamo quando ce lo chiedono.
Il suono è quello di un blues notturno, scarno ed essenziale nei pochi strumenti: il basso suonato da Succi, timpano rullante e piatti dal bravissimo Bruno Dorella. Eppure non sembra mancare niente. Anzi, sembra esserci molto di più, chi ascolta avverte un suono pieno e avvolgente, ricco di timbri che non sembrerebbero poter venire fuori dagli scarni mezzi messi in gioco. E’ forse la dicitura in quarta di copertina cd , in cui si parla di “metalli, pelli e legni vuoti, voci, corde e legni pieni”, a suggerirci che strumenti basilari possono diventare “altro” se utilizzati in modo inedito. Succi suona spesso il basso in modo percussivo, battendo più che pizzicando le corde, o talvolta anche tambureggiando con un batacchio da timpano sulla cassa e sul ponte del basso acustico collegato a un amplificatore. Un suono che sembra assorbire tutto come un imbuto, risucchiare l’ascoltatore in una zona profonda e buia dalla quale, proprio alla stregua di bachi o “vermi” non si vorrebbe mai venire fuori. La voce di Succi, ruvida, bassa e calda bisbiglia in un recitato simil rap parole dense che non esitiamo a definire letteratura. Una riflessione sommessa sulla difficoltà di esistere adesso come sempre, in cui versi canto e suono sono il male di vivere e anche la sua cura.
Discografia:
Tornare nella terra, 2005
Non io, 2007
Tarlo terzo, 2008
Intervista (lunga): qui.
***
Un testo da Non io, e il video:
giorno perso
scendo giù all’inferno e torno: se vuoi del torto te ne porto.
è un tuffo in un inchiostro. è un percorso che conosco.
da quel giorno.
…
tu qui: insetto. a riprenderti il giorno perso che ti è sfuggito?
più di uno.
tu sai come.
il giorno nero pieno di sole che non hai concluso.
il giorno afoso aperto al fiume che ti sei illuso
… ti rendo quel giorno ma te ne tolgo il ricordo
(per guardarti rifare esattamente lo stesso).
Gianluca D’Andrea legge “Al mondo” di Teresa Zuccaro
L’UMILTÀ AMBIZIOSA: l’onestà delle parole
La lettura di una nuova raccolta di versi porta sempre ad uno straniamento, l’affermazione vale soprattutto per un’opera prima perché il lettore partecipa allo svelamento di un mondo “nuovo“ che inconsapevolmente colpisce zone in precedenza nascoste, appunto velate.
Nessuna eccezione per “Al Mondo”, anche se occorre precisare che lo spaesamento iniziale si mantiene durante la lettura, componimento dopo componimento.
Mi accingo a scoprire “un mondo” che mi rende partecipe della mia estraneità.
continua su http://www.nabanassar.com/almondo.pdf
“C’è un’opera infinita che ci attende”
Intervista a Francesco Lauretta
a cura di Teresa Zuccaro
Rubiamo (ma in fondo non è affatto un furto, lo vedrete) un po’ dello spazio che Nabanassar dedica solitamente alla poesia per fare un’ incursione fra le arti figurative, dato che abbiamo avuto la fortuna di poter fare qualche domanda ad uno degli artisti più interessanti dell’attuale scena italiana. Ecco dunque le domande e le risposte.
Pensando ad alcune delle tue ultime mostre, mi sembra di intravedere uno spostamento dell’attenzione da momenti e occasioni corali – Le Metafisiche – a riflessioni su categorie e gruppi – il ruolo dell’artista in Non saremo noi – fino ad arrivare a una dimensione forse più personale, quella di storie singole che si sfiorano in uno spazio catalizzatore nel progetto attualmente in lavorazione che si intitolerà, se è lecito dare una piccolissima anticipazione, Privato. E’ così? C’è un filo conduttore, un percorso che lega questi diversi momenti?
C’è una vita che significativamente si aggira intorno a questi titoli e c’è un coro che non sempre si vede, ma del quale si intuisce la presenza e, se non sempre questo coro è visibile, è riconducibile a cose vive seppur non necessariamente è composto di cose vive. Lavoro e m’impasto da sempre con qualcosa che io individuo come una presenza, necessaria perché m’avvisa della mia singolarità spesso provata da un quotidiano che fatico a comprendere e ad abbracciare, e pertanto questo fare, l’affannarmi intorno ai linguaggi, mi disorienta verso un immaginario che ringrazio e del quale godo come sontuosamente visibile, responsabile, perché mentre rispondo sto leggendo “Che ne sarebbe di noi, dunque, senza l’aiuto di quel che non esiste?” – è Paul Valéry che scopro ad inizio dell’ultima fatica di Tommaso Pincio, Gli alieni; perché mentre rispondo alle mie spalle c’è una casa che inizia a comporsi nel suo mito, una strada blu che proprio ieri credevo di avere sognato e che realmente vedo nelle foto che ho ritirato giusto ieri, foto che ancora realizzo intorno a questa casa ormai da sette anni, quasi. Sette anni fa avevo appena inaugurato Ceci n’est pas une pipe. Dopo, Matrimia, Via degli astronauti e così via fino a Privato che spero di risolvere in fretta anche perché sono curioso di quanto ancora mi manca.
…………………..continua su http://www.nabanassar.com/fralauretta.pdf