In forma di pamphlet (su Marcel Duchamp) – Federico De Leonardis

Guarda*, cinematografara Giacinta,
guarda bene quel che ha per naso l’elefante.
Guarda quel di cui abbiamo bisogno per sederci,
guarda la casa immensa che occupa colui che
                                                                    (chiamiamo re.
Guarda questa faccenda del dormire, alzarsi,
                                                              (dormire e alzarsi,
guarda la donna e l’uomo che contrattano di non
                                                                      (separarsi mai,
guarda il farabutto, signore del nostro globo,
guarda come il fiore tenero spunta dal suolo duro,
guarda come dal legno degli alberi
nascono commestibili aromatici.
Guarda come dal cielo puro ci arrivano
acqua, fulmine, luce, freddo, calore, pietre, neve.
Assurdo e mistero* in tutto, Giacinta

José Moreno Villa

Stimolo e trabocchetto dell’intellettuale è l’ambizione. Se guardo le dita raspose e le unghie a lutto delle zampe palmate che mi ritrovo per mani, considerarmi un intellettuale è un po’ azzardato. Occuparsi di Duchamp però non sfugge a un sospetto di ambizione, visto quello che è diventato agli occhi di tutti: non c’è testo d’arte visiva che non lo citi e spesso anche chi parla di musica o di letteratura fa riferimento a lui. La frase che si sente più spesso è che con lui bisogna fare i conti.

Facciamoli allora, una buona volta, anche se rischio di trovarmi sul lastrico.
Anche in questo non mi sento un intellettuale: odio le ghette di nonchalance con cui gira in mezzo ai mostri sacri senza mai osare discuterli. Preferisco essere tacciato di presunzione o di superficialità, preferisco sbagliare che sentirmi un pusillanime.

Nel mio caso il pericolo del trabocchetto è grande, perché confesso poco interesse per l’analisi verbale e l’equilibrio critico mi difetta. Ma la figura Duchamp mi sfida e non tanto come intellettuale quanto come operatore d’arte visiva. Anzi per la precisione a sfidarmi non è la sua opera; è soprattutto la mole di letteratura che lo ha accompagnato in vita e che gli è stata dedicata in seguito. Se Duchamp non fosse diventato un mito e se a fasi ricorrenti, che più o meno coincidono col volgere al freddo del barometro delle mode dell’arte, questo mito non venisse rispolverato e non rimpolpasse quella mole, non sentirei affatto il bisogno di occuparmene: la mia è semplicemente legittima difesa.
Quanto all’ambizione, ci si creda o meno, ho solo quella di continuare a fare il mio lavoro in perfetta autonomia, senza venire travolto dal duchampismo dilagante.

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Sylvia Plath tradotta da Giuseppe Cornacchia (I) – Lady Lazarus

LADY LAZARUS (l’originale in lingua, la traduzione di Giovanni Giudici)

L’ho fatto di nuovo.
Un anno su dieci
Mi riesce –

Un miracolo in moto, la mia pelle
Vivida come un lume nazista
Il mio piede destro

Un fermacarte,
Il mio viso un tenue, inespressivo
Lino ebreo.

Rimuovi il velo,
Nemico mio.
Faccio tanta paura? –

Il naso, le orecchie, la dentatura?
Il fiato acido
Passera’ in un giorno

Presto, molto presto, la carne
Consumata dal sepolcro sara’
Di nuovo in me

Ed io una donna sorridente.
Ho solo trent’anni
E, come un gatto, nove vite da morire.

Questa e’ la numero tre.
Un sacco d’imballaggio
Da scartare ogni decennio.

E quanti fili!
Una folla sgranocchiante
Si accalca per guardare

Lo sbendaggio, mani e piedi –
L’atteso spogliarello.
Signori, Signore,

Ecco le mani,
I ginocchi.
Saro’ pelle e ossa

Ma resto la stessa, identica donna.
La prima volta e’ successo a dieci anni.
E’ stato un incidente.

La seconda volta ho cercato
Di finirmi e non tornare.
Mi stavo chiusa

Come un’ostrica.
Dovettero chiamarmi e richiamarmi
Spillando i vermi come perle appiccicose.

Morire
E’ un’arte, come tutto il resto,
Che faccio egregiamente.

Lo faccio che semba l’inferno.
Lo faccio che sembra vero.
Si puo’ dire che ci sia tagliata.

E’ cosi’ facile da farsi in una cella.
E’ cosi’ facile da farsi stando ferma.
E’ il teatrale

Ritorno in pieno giorno
Al consueto luogo,viso, urlo
Bruto e divertito:

“Miracolo!”
Mi fa morire!
Ma c’e’ un prezzo

Per guardarmi le ferite, c’e’ un prezzo
Per auscultarmi il cuore –
Va, nevvero?

E c’e’ un prezzo, molto alto,
Per una parola, una toccata,
Una goccia di sangue

Una ciocca o una toppa del vestito.
Dunque, dunque, Signor Dottore.
Dunque, Signor Nemico.

Sono il vostro capolavoro,
Sono il vostro tesoro,
Il pargoletto d’oro

Che si scioglie in uno strillo.
Io fo e disfo’,
Mi curo anche dei vostri patemi.

Cenere, cenere –
Voi soffiate e attizzate.
Carne, ossa, niente qua –

Un pezzo di sapone
Un anello nuziale
Un dente tutto d’oro.

Signor Dio, Signor Lucifero,
Attenzione
Attenzione.

Dalle ceneri emergo
Coi miei capelli rossi
E, come un soffio, uomini divoro.

© Giuseppe Cornacchia, Gennaio 2013

Tre settimane di poesia nei lit-blog italiani 2012 – il .PDF gratuito

Il .pdf gratuito che raccoglie integralmente i dodici numeri della rubrica di segnalazioni poetiche dal web di Giuseppe Cornacchia, presentata a puntate sul blog “nabanassar” nel 2012.

[Ho avuto modo di leggere poesia sul web nel 2012 e riporto qui le mie sintetiche note con link diretto ai testi, per possibile confronto di idee. Quasi 120 autori censiti cronologicamente, come apparsi sulla rubrica nel blog “nabanassar”. In sintesi estrema, qualche luce e molte ombre: la parola mi e’ apparsa spesso come ecolalia ed autoterapia. Poeta dell’anno: Roberto Roversi. GiusCo]

Scarica qui il .pdf a gratis. Vai a “I nostri e-book” per altri volumi gratuiti.

Martina Campi – ESTENSIONI DEL TEMPO, Le Voci della Luna

[Riceviamo da Martina Campi il suo volume ESTENSIONI DEL TEMPO, uscito per Le Voci della Luna di Fabrizio Bianchi nell’Ottobre 2012 quale vincitore del Premio Giorgi 2012 per silloge inedita. Ci sembra una poesia ai limiti dell’inconsistente, molto rarefatta e libellula con la parola. Il testo “Una concessione”, tuttavia, apre uno squarcio verticale meritevole di attenzione. Giuseppe Cornacchia e Angelo Rendo, Gennaio 2013]

Una concessione

Nell’abbraccio
ci si stratifica o si prende
il volo

il volo sottratto del venire
al mondo, il volto
addomesticato

gli strati di una
ritirata
necessaria perché terrosa.

Accadono soprassedendo, acuminati
sterminati, infranti
dolenti sui confini

gli stati dell’assenza
le superfici assolate
le morbidezze, nei ritrovamenti

Martina Campi nasce a Verona nel 1978. Dal 1997 vive a Bologna, dove si laurea in Scienze della Comunicazione. È tra i poeti premiati con Segnalazione al Premio Montano 2012 per la raccolta inedita La saggezza dei corpi. È presente in alcune antologie poetiche.

Sentenza sul terremoto de L’Aquila ovvero la morte della scienza come servizio

[L’Aquila, Grandi rischi: 6 anni agli imputati. http://www.repubblica.it/cronaca/2012/10/22/news/aquila_sentenza-45092603/?ref=HRER2-1. Il verdetto, compresa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, colpisce i sette membri della Commissione all’epoca in carica, che avrebbe fornito false informazioni circa l’improbabilità della forte scossa che la notte del 6 aprile 2009 causò la morte di 309 persone.]

[Lo scienziato che parla si assume i suoi rischi. Giusto cosi’. GiusCo]

PROVE TECNOLOGICHE

Risulte computazionali non attese.
Avessi inserito un try/check
il tipo avrebbe convenuto
che l’errore non è mio
nonostante lo spreco di risorse.
Resta un programma avviato, senza dubbio
in qualche parte
fugace, come un cavallo di Troia
bisognoso di rodaggio
ma buono in prospettiva.

*

L’agente s’ammassava senza dolo.
Si fecero prove
con muri e contatori
per vedere quanto ne arrivava.
Roba grossa. Si smise
quando un giovane crepò, troppo preso
dallo scambio materiale.

*

Animo,
non sempre l’emergenza è inattesa,
le quote vengono monitorate apposta.
Oddio, bisogna saper leggere,
è per questo che vi fanno studiare.
Poi succede che dal vivo è un’altra cosa.
Ci si adatta lasciando la ricerca
ai signorini.

Poesia pubblicata su carta a Settembre 2012 in La superpotenza, venti anni di poesie, scritti e traduzioni da G.Cornacchia e A.Rendo, ISBN 9788891027474

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AGGIORNAMENTO 19 GENNAIO 2013

[Uscite le motivazioni di sentenza: http://www.repubblica.it/cronaca/2013/01/18/news/sentenza_grandi_rischi-50794624/?ref=HREC1-7 che confermano pari pari quanto avevo scritto su NAZIONE INDIANA ad inizio novembre 2012. GiusCo]

“L’ambaradan del processo mediatico e della sentenza giuridica e’ stato la logica conclusione dell’aver prestato la voce al meccanismo. Quando io sono chiamato ad esprimere un parere nell’esercizio della mia professione, mi affido sempre e solo alla carta scritta, debitamente ponderata, firmata e poi timbrata. Niente contatti col politico/politicante di turno, niente contatti con terze parti (qui: il circuito mediatico).

Come funzionasse il sistema Bertolaso, e’ piuttosto chiaro dalle varie ricostruzioni emerse nei mesi scorsi. Allora la domanda diviene: che vantaggio aveva l’illustre tecnico a commistionarsi con politica e media? Consulenze futuribili e ben pagate? Vanita’? Ribadire la propria posizione di scienziato alpha nel circuito baronale italiano? Accreditarsi per la cooptazione politica a venire? O forse questi tecnici sono stati manipolati e infine scaricati, come anche si vuole sostenere?

Mi aspetto di leggere nel dispositivo di sentenza che la condanna verso gli scienziati non e’ dovuta alla “mancata predizione” del terremoto dell’Aquila, ma al loro esser venuti meno al dovere professionale di indipendenza e non commistione. La popolazione sa cosa aspettarsi dai politici (rassicurazione & paura in ciclo) e dai media (scandalismo & chiacchiera); avrebbe potuto aspettarsi una parola forte ed equilibrata dagli scienziati, che invece non e’ arrivata.

La questione, per chi fa la professione tecnica, diventa ancor piu’ come tutelarsi dal rischio di essere chiamati a rispondere civilmente e penalmente del proprio operato. La mia risposta e’ semplice: non commistione preventiva ne’ con la politica ne’ con i media + parere formulato per iscritto e reso pubblico, senza interviste.”

(http://www.nazioneindiana.com/2012/10/25/il-grande-rischio-scienza/)

Appunti dal buon senso senza senso (22) – Angelo Rendo

Nella dashboard del blog, nel riquadro “Termini ricercati nei motori di ricerca”, oggi è comparsa la seguente stringa alfabetica: “io penso te tu non pensare me a cavallo”. Che in versi potremmo ricomporre così “io penso te/tu non pensare/me a cavallo” nella bara dell’amore di una donna ingenua per un uomo porco. O di una donna paranoica per un uomo buono. Oppure ancora di una donna infelice nel chiuso di una casa o di una perpetua in quello di una chiesa per un prete o per un cavaliere d’alta tavola.

O forse una languida donna alla barra stimorata ha digitato i tre versi sopra, con tutte le forze tesa a garantire la pudicizia di cagna gnesta; o un uomo, insicuro del proprio uomo, temendo di essere sostituito da un cavallo; o un uomo onesto, talmente onesto da non farsi passare per il principe azzurro; o un ragazzo – il quale assicura la mamma, non stia a preoccuparsi, ha fatto i compiti, è nella casa del compagnetto di classe, non a scorrazzare col cavallo del nonno per i campi, e nemmeno a lezione di equitazione – ha scritto sulla barra quelle parole sotto. E la barra gli ha dato il nostro indirizzo.

Chiarisce il significato di questo pezzo Lea: la vera cagna, la Mamma Cagna – invasata, insurfariata dal padrone – abbaia a molle lingua che “io penso te tu non pensare me a cavallo” sia l’oracolare epitaffio di Quintino Sella, affidato a un pezzo di carta stracciata e lasciato, in un accesso di libidine imperativa, nelle mani della moglie, poco prima di partire.

Come una vuota distesa d’acqua, che d’acqua non sa, attira terra da tutti i pori e, riempita, sussurra all’azzurro che nulla si muove, una cosa contro l’altra sta. Duro sentire il sussurro, vedere l’azzurro nella macina che ogni cosa frantuma. Ma di ciò che non si vede la volontà s’abbiglia.

Joseph Anton, di Salman Rushdie

Il volume di memorie dello scrittore anglo-indiano suggella la ritrovata serenita’ dopo le traversie della fatwa islamica e il lento ritorno ad una vita normale. A 65 anni, e’ anche un’occasione per un bilancio umano. Rushdie appare come una persona dalla doppia anima, indiana nelle origini familiari e inglese per scelta, a cominciare dal collegio di Derby che appena ragazzino comincio’ a frequentare distaccandosi da padre e madre. Un’integrazione difficile, un animale a sangue caldo trapiantato fra tanti “pesci freddi” che, poco a poco, divenne uomo e si inseri’ in un brillante circolo di letterati suoi coetanei (Martin Amis, ecc.) divenuti anche amici. Quando la fatwa islamica si abbatte’ con ferocia sulla vita di quest’uomo pacioso, solo gli amici letterari -scrittori, agenti, qualche editore- gli furono vicini. Il cordone di protezione di quest’ambiente, la sua nuova famiglia, lo aiuto’ negli anni duri della vita con la scorta e nelle continue nuove abitazioni locate a nome del fittizio editore pakistano Joseph Anton (i nomi di Conrad e Cecov uniti a formarne un altro) che gli impedirono di mettere radici. Lo aiutarono le sue donne, che fecero si’ che Rushdie non spegnesse il suo io regalandogli amore e solidita’, nonche’ due figli da lui molto amati. Le pressioni islamiche mano mano si attenuarono e Rushdie passo’ infine un periodo a New York provando a ricostruirsi la liberta’ assieme ad una donna indiana bellissima e molto piu’ giovane di lui, che gli spezzo’ il cuore. Era a New York quando furono attaccate le Torri Gemelle e la contemporanea uscita del suo romanzo “Furia”, ambientato nella citta’, lo rese perfetto testimone dell’ottusita’ di ogni fondamentalismo e in particolare di quello islamico, ormai non piu’ minaccia solo a livello personale ma collettivo.

Il flusso narrativo e’ piacevole, si apprezzano le qualita’ umane del circolo amicale del signor “Anton”. Questo libro e’ senz’altro un’omaggio all’Inghilterra, che lo ha protetto ufficialmente con misti amore e odio, ed e’ un omaggio alla vita di relazione che Rushdie e’ riuscito a costruirsi nonostante -o forse grazie- al macigno piovutogli sulla testa. Sono menzionati moltissimi colleghi del jet set letterario internazionale e diversi aneddoti strappano un sorriso (Rushdie stronco’ una volta Umberto Eco e quello, incontrandolo nel periodo della fatwa, lo abbraccio’ solidale dicendogli: “Rushdie! Sono quel cazzaro di Eco!”). La battaglia di liberta’ di espressione e critica, anche contro le religioni e anche contro l’Islam che tanto terrorizzava l’Occidente fino a 5 anni fa spingendo a penose prese di posizione diplomatiche fu infine vinta, l’Iran ritiro’ la fatwa.

Dal punto di vista personale, non ritengo Rushdie un genio letterario. E’ sicuramente un uomo di lettere, colto e dotato di talento. La sua fama sta soprattutto in quel che gli e’ successo ma e’ stato giusto essergli solidale (cosi’ come e’ giusto essere solidali a Roberto Saviano pur non ritenendolo un genio letterario). Sicuramente abbiamo vite molto diverse: io non ho mai creato un mio circolo amicale e non mi interessa avere relazioni col mondo letterario, che detesto. Se mi fossi trovato nella sua situazione, sarei sicuramente morto o finito rinchiuso in qualche base militare come “ospite ingrato”. Non credo, dunque, andrei d’accordo col signor Rushdie, che e’ invece un uomo di affetti. Rimane la certezza che, da sponde comunque lontane, entrambi lottiamo per “accrescere l’umano”, lui per valori di laicita’, progresso ed amore, io per valori di positivismo scientifico e progresso ingegneristico. Se Rushdie auspica la pace e l’amore sulla Terra, io auspico l’Uomo alla conquista dello spazio (anche fisico, al di fuori della Terra e dentro la propria mente) ed il propellente morale per una simile impresa e’ lo stesso: i valori dell’umanesimo occidentale ed europeo arricchiti dal sapere pratico laico e scientifico.

© Giuseppe Cornacchia, 10.1.2013

Antonio Bux – TRILOGIA DELLO ZERO, Marco Saya Edizioni

[Il libro TRILOGIA DELLO ZERO del foggiano Antonio Bux, 1982, uscito per le Marco Saya Edizioni nel 2012, non puo’ essere ridotto a sintesi essendo blocco uniforme e tutto sommato omogeneo di buono-ottimo livello. Il testo fondante mi sembra “La casa obliqua”, forse utilizzabile come manifesto del discorso e quindi di seguito proposto. Ben centrate, fra le varie presenti ad accompagnare i testi, le analisi di Diego Conticello e Sebastiano Aglieco: gli echi magrelliani (soprattutto ad inizio volume), la toponomastica interiore e barocca quasi cartografica, gli omaggi paneriani sono le architravi di questo lavoro. Un corposo volume che rende Bux uno dei trentenni meglio attrezzati in campo poetico nazionale. A fronte degli strumenti posseduti e dell’estensione stilistica, e’ lecito aspettarsi una poetica originale negli anni a venire. GiusCo]

LA CASA OBLIQUA

Era una porta in principio la testa, bussando il polso,
il pensiero della casa. Niente si e’ esposto, dopo
nel moto inverso, invisibile dell’abbraccio celeste,
la funzione del perimetro, l’insorgere alle finestre;

e cosi’ gli spifferi impronunciabili, e l’uscio obliquo
negli arredi al buio, il miracolo dei muri. (Che’ inizia
dal basso, la geometria della visione, dalla calce
comprimersi in un filtro -vincolarsi- nell’effrazione).

E allora tutto implode, dalla botola dell’esistenza:
si arriva nel sangue delle tubature, si taglia il cuore
s’accampano le ossa. E quindi, piu’ del dolore disegna

la casa, la rivolta; degli oggetti si conosce la polvere
il nome, la scatola d’ombra. E il condono dunque
e’ svuotare gli stipiti, appendere il futuro agli angoli.

Ma doveroso e’ il censimento: il ritratto fuori nell’insieme
sotterraneo cede, aderisce all’inferno, all’insubordinazione
anatomica del passo, che non sa retrocedere nell’origine
e scompare, misurato dal lungo metro dell’attesa

dove si precisa il tetto, la funzione urbana, la strada spaccata.

Antonio Bux (pseudonimo di Fernando Antonio Buccelli) nasce a Foggia il 16 ottobre del 1982. Dopo aver terminato gli studi, coltiva esperienze di vita e lavorative presso la propria città natale e al dì fuori di questa, in varie città italiane e straniere, ma soprattutto a Firenze, dove trascorre un intenso periodo, per poi espatriare definitivamente nel 2007 in Spagna, a Barcellona, dove tutt’ora risiede. Si occupa costantemente di traduzione di poeti di lingua spagnola, poeti sia iberici che latinoamericani. Hanno parlato della sua poesia e hanno scritto positivamente su di lui alcuni tra i più importanti poeti e critici del panorama italiano recente.

Appunti dal buon senso senza senso (21) – Angelo Rendo

Immagine

Le bombe, il pittimo, l’artificio, i maschi, l’ordigno incastrato dentro un altro ordigno: forme virili di bellezza tornita e fonda che al cielo si volge e tira via il naso e il miele si spreca, l’incanto. Mancamento meccanico, al quale indulgono i  maschietti. La guerra, la caccia, muraglie, fortezze e bastioni, cumuli di terra e viti solstiziali, trincee e fetide barriere per turbati, e spirali che si innestano nel pieno più profondo della vita persa: filettatura mantenuta e tiller impennato, sempre desto artificio dalla terra al cielo.