La patina del decoro

Io voglio me stesso, non gli altri. Oggi mi hanno inflitto una lezione di pittura contemporanea.

Chi urla e chi parla con discrezione. Chi spara pugni, chi è attento a non darne.

Se quanti più diversi si uniscono, scaturirà forza, dialettica, colloquialità e progresso; o, forse, il movimento d’opinione si allargherà e la maniera conseguente riferirà alla natura perché suocera intenda.

Così lo scarto non è più nel fededegno, ma nello svuotamento che dalla classicità si origina.

La politica corretta vuole che la maestria estenuata si evolva nella pace erotica, nel saluto e tanto non so chi sei, nell’invenzione che toglie di mezzo piattezza e staticità – e niente fierezza del segno, o animalità trash – di paesaggio, architettura o figura umana, per accamparsi nel selvatico del minimo ascolto. Il minimo aggiustamento e sventura, ché grandezza è connaturata alla prima maniera e all’ultima con al centro un lungo abbandono che ritorna sotto forma di piacere disintellettualizzato.

Certo, la lesa maestà arriva al punto di non giustificare l’esattezza della sfumatura intinta nel manicheismo corto e netto del gesto.

Ma di un mondo in ricreazione parliamo e l’affetto per il nero della guerra, rappreso in un volto o scrostato sul muro di un palazzo diventa percezione sconveniente e abnorme.

Più diluisci il colore, più il tempo darà soluzione e meno puzza. L’uomo vissuto percorre una strada chiara, la sorpresa non decora: dice che il pane è pane, il vino acqua.

nabanassar.com disattivato a luglio 2010

Si informa che http://www.nabanassar.com verra’ disattivato a luglio 2010; le attivita’ continuano qui in blog su https://nabanassar.wordpress.com e la mail di contatto diventa nabanassar@googlemail.com. Tutti i contenuti del sito padre verranno archiviati su un CD, disponibile su richiesta. I diritti sul materiale pubblicato rimangono ai rispettivi autori. Grazie a tutti, buona letteratura.

Nabanassar, redazione.

LUNGA VITA AL ROCK INDIPENDENTE – di Stefano Ferreri

Rifletto sul concetto di indie-rock, oggi che quasi tutto in ambito musicale viene spacciato come tale.

Non mi tornano i conti, ma non penso sia un problema di etichette o categorie di comodo tipo i “file under” nei grandi negozi di dischi americani. La verità è che, parlando o equivocando sull’argomento, si commette spesso l’errore di lasciare troppo spazio alla novità ricercata piuttosto che alla realtà consolidata. Non che questo sia sempre sbagliato, per carità.

La novità è ben accetta, anzi necessaria: negarla a priori come fa qualche sepolcro imbiancato è deleterio, soprattutto quando si discute di musica leggera. La novità è una benedizione perché attesta che non tutto è finito nel Marzo del’74, che non c’è nulla di irripetibile e che, anzi, in molti lodevolissimi casi il recupero del passato può dar luogo a opere di assoluto valore, dove lo stilema di ieri, innestato in un contesto nuovo, viene attualizzato e reinventato.

Ogni anno escono dischi nuovi in tutti i sensi ed è un piacere incontrarli”, farli propri.

Dove la novità diventa però una specie di fine, il gioco mostra la corda ed il divertimento scade nella noia della ripetizione: una corsa impazzita alla next big thing” fighetta, alle correnti trendy create ad arte da discografici coglioni ed amplificate da critici ancora più coglioni di loro, sulle pagine patinate di riviste tutte uguali.

La novità a tutti i costi è una tristezza.

A voler tracciare un consuntivo, mi sembra di leggere troppo di musica interpretata secondo questo parametro e troppo poco secondo l’ottica ben più significativa dello spirito con cui le canzoni vengono scritte, messe su disco, portate in tour e via dicendo. Quando poi un’interpretazione così impostata si spinge all’attribuzione di valori qualitativi e meriti esteticicondivisibili o meno che siano – l’ottica si fa un po’ troppo sfocata, i discorsi ristagnano sui dettagli meno significativi e la vince il divismo da operetta tanto caro alla giostra discografico-pubblicitaria.

Cosa emerge poco nei discorsi sull’indie-rock? Il riconoscimento dell’attitudine indie, a prescindere dalla casa discografica per la quale si pubblica. E’ un ingrediente poco considerato ma vitale, imprescindibile. E’la natura stessa della categoria, a ben vedere.

E’ un problema mio e del mio scetticismo verso la gran parte delle band osannate al primo refolo di vento, al primo sputo di EP pubblicato, al primo singolo “che spacca”.

Forse è quella mia dannatissima fissazione per cui un gruppo deve passare indenne la “prova” del terzo album per meritarsi acclamazioni e riconoscimenti che siano un minimo giustificati. Forse sono i miei dubbi su una fantasmagorica scena inglese che mi ostino a cercare ma che proprio non riesco a riconoscere come tale: Maximo Park, Arctic Monkeys, Bloc Party, Futureheads, Kaiser Chiefs, solo a citare quelli più inflazionati. Ho tutti i loro lavori e mi sono sforzato di ascoltarli e riascoltarli con la più imparziale delle disposizioni d’animo, anzi con una certa benevolenza. Per carità, sono anche operine interessanti, qualche canzone è carina e di buono se non ottimo impatto. In concerto proverò a non perdermeli per non lasciare davvero nulla di intentato, chissà mai.

Ma lo spessore? La maturità artistica al di là dell’entusiasmo? Le benemerenze indie? No, via, non esageriamo con le richieste. I riscontri commerciali sono notevoli senz’altro ma il talento è un’altra cosa.

[Stefano Ferreri, diritti riservati]

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Stefano Ferreri è nato a Torino nel 1979 e ci ha sempre vissuto. E’ laureato in Lettere. Opera nella vita come un perfetto dilettante, detto senza falsa modestia. Tra i suoi hobby – rigorosamente espressi con quello spirito – la fotografia e la critica musicale.


Humus

Poesie della “non-vita”: “Humus” di Francesco Maria Tipaldi (L’Arcolaio, Forlì 2008)

“Questo infimo inizio prende origine dal fatto che l’uomo,
a differenza degli animali, sa di dover morire”.

Mario Perniola

“Morituri te salutant” e il germinare ibrido (stile bestiario) degli esseri, scenari del nostro medioevo futuro, preconizzato nel 1995 da Massimo Miccoli (vedi “Telèma 1”, estate 1995) partendo da una riflessione che verteva sulle implicazioni economiche e politiche della diffusione di Internet.
Il nuovo senso della parola religio, non più “riguardo”, né “legame”, piuttosto desiderio individuale, fantasma di comunione. Comunione con la morte, comunicazione della morte e sua futilizzazione, questo il panorama su cui ogni giorno si affaccia la nostra esistenza.
Un approccio diverso di lettura del reale invece pare emergere da un libriccino di recente pubblicazione: “Humus” di Francesco Maria Tipaldi, dal quale è doveroso tirare fuori qualche considerazione.

È stato detto correttamente di come questa poesia sia concentrata su una dimensione escatologica ed etica, a sottolineare la giustezza della definizione aggiungo due citazioni:

“La verità ha la struttura della finzione” (J. Lacan);

“Un’etica che tiene spericolatamente testa alla mostruosità latente dell’esser umani” (S. Žižek).

In effetti a farsi amare è il tentativo della lingua di mescolare le ambivalenze in essa residenti. La sintassi si lascia sciogliere da ossimori talmente elastici (“Ed io sono andato/ dove la pioggia cancella le pozze/ e le merde fanno bollire la frutta, i cachi”, p. 26) da risultare per paradosso “comparativi”, è il sintomo di un’esigenza che riguarda una tutt’altro che sinistra accoglienza del mondo, una coincidenza appunto. L’atmosfera in cui si svolge questo excursus poetico è nuova e germina in rapsodie spezzate, forma una rete di concetti e, nonostante l’insistenza dei titoli delle sezioni paia suggerire il contrario, non è implicita ai testi alcuna musicalità, semmai solo un’insistente (a volte assordante) dis-armonia prosastica. Sembra qui emergere la possibilità di un limite (soglia) della poesia di “Humus”: fino a che punto lo stile è in-controllato? La sua antimusicalità è un regime o il margine della composizione tendendo ad un allargamento strutturale ( lo si avverte nel passaggio dalla prima raccolta “La culla”, composta di testi brevi, ad “Humus” in cui alcune composizioni hanno il respiro del poemetto) prelude ad una versificazione melodica? Il canto, a mio avviso, è già soave, ma voglio immaginare ulteriori lavorii sull’impalcatura musicale dei testi, perché è di una nuova musica che la nostra poesia ha bisogno e in quella di Tipaldi sono manifeste tutte le possibilità di questa diversa strutturazione sonora: “Tutta la carne è erba/ e se l’erba è carne, è di uomini spolpati/ oltre ai cani, persino i barbieri/ fanno il pelo più bianco” (p. 22). Si noti, in questo estratto, l’incrocio dei suoni, dal chiasmo in inarcamento alla tensione delle bilabiali con l’alternanza tra sorde e sonore a riprodurre il balbettio e lo scoppiettio di una nuova nascita, ribadita dal ribaltamento dei termini in questione e dalle tematiche dell’invecchiamento e del disfacimento. Un infimo inizio germoglia e porta con sé i disastri avvenuti, mette in guardia, sentinella e spia, sulla morale: “I cieli non sono umani./ I cieli non sono umani, non umana la luce/ la luce cancella, dannatamente/ cancella./ Il verso che si leva fa male agli occhi” (p. 54).
In poca poesia recente è dato avvertire una simile tensione escatologica, energia sprigionata dalla volontà di ri-creare un mondo; penso a due libri che potrebbero essere accostati ad “Humus” su questa linea: “Macello” di Ivano Ferrari e “Al Mondo” di Teresa Zuccaro. Per comprendere il comune orizzonte concettuale dei tre libri, dal quale pare emergere il germe (l’infimo inizio) di una vita che si distanzia dalla stasi morale a cui la riflessione sul male avvenuto, filtrata dalla comunicazione odierna, ha condotto le nostre coscienze, riporto due testi dai libri citati:

“Su un oceano colorato malamente/ galleggiava una piccola isola/ le onde spargevano le origini/ i coralli cicalavano al tramonto/ e i pesci si rigeneravano alla fonte./ Era una goccia di sperma/ cadutami nella vasca del sangue/ in una mattina/ di forte macellazione”(Ivano Ferrari, Macello, Einaudi 2004, p. 88).
In “Humus” troviamo: “Eravamo germogli di pane, abbracciati nel fango”. L’unico modo per essere coscienti del male è comprendere la sua esistenza inesprimibile se non attraverso la consapevolezza della sua funzione fertilizzante, nonostante lo scandalo.
“Tu non sei mai esistito, giusto un’ombra/ un fantasma nero/ che guarda da un angolo/ la frutta che va a male,/ la posta accumulata,/ la polvere che cade dappertutto/ da questa clessidra gigantesca/ e rende tutto uguale” (Teresa Zuccaro, “Al Mondo”, Sinopia 2006, p. 68).
“Humus” sembra rispondere: “Non ricordo esattamente quando./ era tutto un pulsare la polpa/ […] Il posto sembrerebbe lo stesso, vi racconteranno/ […] Cosa sarebbe stata la nascita, o neppure?”.
Dal mondo post-umano all’esistenza postuma, la terra vibrando nelle sue oscillazioni si svela finalmente umile e l’uomo abdica alla pretesa di dominio, ripiegandosi in sé accetta il suo stato larvale fino alla prossima metamorfosi (desiderio, religione).
“Humus”, insieme agli altri due libri, si limita a dirci il compito della poesia, perennemente il suo “infimo inizio”.

Gianluca D’Andrea

Pasquale Giannino 2010: New Writing Factory

L’ingegner Pasquale Giannino, ex ricercatore Nokia-Siemens, va a lavorare nella letteratura, aprendo un’agenzia di valutazione/instradamento editoriale (New Writing Factory) assieme all’ingegner Roberto Vacca, divulgatore molto noto a livello nazionale e all’eclettico scrittore milanese Franz Krausphenaar. Il cerchio si e’ chiuso: il figlio del sud che tanto ha studiato, si e’ ricongiunto alle radici: anche i tecnici hanno un cuore, liddove la voce pubblica della professione e’ sempre piu’ rarefatta. Real Italian Epic 2010.

E sono dieci anni che qui in “nabanassar” cerco tecnici che facciano letteratura a livello serio, partendo dai propri studi, senza finire nell’escapismo dei generi o nelle distopie della fantascienza. Modelli canonici: Dostoevskij, Musil, Gadda, Sinisgalli. L’augurio alla New Writing Factory dell’ ing. Giannino e’ che possa scoprire talenti in questo senso. Sarebbe auspicabile creare sinergie con editori ugualmente intraprendenti, magari immaginando una vera e propria collana letteraria di tecnici/scienziati, ma questi sono discorsi posteriori. Per il momento, buon inizio a voi.

Ecco il comunicato stampa di lancio sul blog “la poesia e lo spirito”.

Lo scrittore e il turbamento, ovvero del buon consiglio

Piccolo racconta che qualche settimana fa Niccolò Ammaniti gli ha telefonato molto turbato, dicendo: “Sai che su internet ci sono tantissime persone che mi prendono in giro, mi attaccano, dicono che il mio libro fa schifo?”. Piccolo ha risposto così al collega e amico di vecchia data: “La prima regola caro Niccolò è non leggere mai commenti online”.

[Intervista di Serena Danna a Francesco Piccolo, “Cara sinistra fonda tu il partito dell’amore”, Il Domenicale del Sole 24 ore, 10/01/2010]


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Stupisce che in una intervista impegnata aggalli un residuo fecale simile.

Scrittore, turbato per gli attacchi su Internet al suo libro, cerca consolazione e ragione di tanto oscuro livore nei suoi confronti.

La casta, pagata per scrivere – il cui primo pensiero è il piacere di scrivere, il secondo, piacere – vive al di sopra delle proprie potenzialità.

E’ inimmaginabile che i sommovimenti aurorali della scrittura possano accompagnarsi a cotanto turbamento.

Del resto, la risposta dell’amico Piccolo conferma – se ve ne fosse di bisogno – quanto l’essere umano sia suscettibile, impredicabile e impraticabile.

Praticabilità passando per il “suo studio sull’Ostiense a Roma, un accogliente seminterrato che si apre su una scalinata red carpet e locandine di film d’epoca alle pareti”.

E come il giro sia sempre uguale: su se stesso.

[A. R.]

La grande pancia

L’artista lamenta l’impossibilità di mettere a punto la mostra, qualche sbavatura potrebbe far male più all’amor proprio che all’indifferenza salutare del pubblico. La riduzione della mostra ad aperitivo: il fare proiettato dentro un canale di scolo. Di questo passo vi è una falsa attesa di giudizio. Domani non dove ora, per la moneta e nella moneta. Credere che dall’altra parte qualcuno ci ascolti, discrimina me. Come dei capri guardiamo il tutto dentro la grande pancia. Ricordatevi di quello…sente il palmo premuto sulla fronte, perciò, da scolaretto represso dal maestro, punta i piedi e con l’acido nascosto a stento agli estremi della bocca perde, lucidità comandata. L’errore è di posizione. Lo fa parlare, l’uomo è bruciato. Non è in linea con la posizione predominante, decide di rimanere nel gruppo. Non scambio me con la loro postura. Metto sotto sale per sempre me e dalla boccia, schiacciato, con occhio e labbro storti, guardo la mia miseria, morendo. Ho ricevuto in regalo i bambini che giocano insieme al maestro che gioca. Manca l’individuazione del reato. I primi non si rendono conto, il secondo continua, ad altra altezza. Fermarsi ad un solo tema significa, oltre che riconoscersi, smettere l’abito di festa. Queste lunghe e pazienti preghiere mi trattengono dal centro.

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[Versione passata per l’editor]

L’artista lamenta l’impossibilità di mettere a punto la mostra, qualche sbavatura potrebbe far male all’amor proprio più che all’indifferenza salutare del pubblico. Aperitivo: il fare proiettato dentro un canale di scolo. Falsa attesa di giudizio. Domani non dove ora, per la moneta e nella moneta. Dall’altra parte qualcuno ci ascolta? Discrimina me. Come dei capri guardiamo il tutto dentro la grande pancia. Ricordatevi di quello…sente il palmo premuto sulla fronte, perciò punta i piedi e con l’acido nascosto a stento agli estremi della bocca perde, da scolaretto guidato dal maestro, lucidità comandata. L’errore è di posizione. Lo fa parlare, l’uomo è bruciato. Non è in linea con la posizione predominante, decide di affiancare il gruppo. Non scambio me con la loro postura. Metto sotto sale per sempre me e dalla boccia, schiacciato, con occhio e labbro storti, guardo la mia miseria. Manca l’individuazione del reato. I primi non si rendono conto, il secondo continua, ad altra altezza. Stare ad un solo tema significa riconoscersi e smettere l’abito di festa. Queste lunghe e pazienti preghiere mi trattengono dal centro.

Coward – Vic Chesnutt (12 nov. 1964 – 25 dic. 2009)

“Coward” è tratta da “At the cut” (2009), sotto la traduzione italiana della canzone:

COWARD

trad. Stefano Ferreri

Il coraggio del codardo è  in assoluto

il più straordinario di tutti.

Un gatto terrorizzato ti graffierà

se lo costringi in un angolo.

Ma io, io, io, io

sono un codardo.

Il coraggio nasce dalla disperazione

e dall’impotenza.

Nella paura i cani remissivi

possono attaccare,

essere davvero molto

molto pericolosi.

Ma io, io, io, io

sono un vigliacco.

Io, io, io, io, io

sono un codardo.