Mucchietti di terra – Francesco Lauretta

24 dicembre 2014 Ispica ore 21:30

Sono stato al cimitero oggi. Ho fatto alcune foto. Ho riconosciuto alcuni fantasmi. Mi domandavo come sarò sepolto io, e dove, seppur vorrei farmi cremare – si dice, e si desidera, così?-. Ne ho riconosciuto alcuni volti, volti visti una sola volta in vita mia, poi sepolti. Ho fatto alcune foto. Entrando al cimitero ho visto alcuni gatti, erano a proprio agio lì dentro. Mentre cominciavo ad orientarmi sentivo alcuni rumori, voci, sussurri e preghiere. Credo sia vietato fotografare in questi luoghi. Ero andato prima che calassero le tenebre e il sole, generoso, lanciava lame di luce sui mucchietti di terra. Andavo al cimitero dopo aver letto tre capitoli de “Il radicante” di Nicolas Bourriaud. E mentre andavo verso il cimitero scivolando la collina con la mia Multipla blu, satanassa, pensavo e mi domandavo se io fossi afflitto da una specie di ‘esotismo’, o se potessi definirmi esotista, o esoto. Ho freddo. Sono avvolto dalla coperta arancione e steso sul divano della mia tana frigo d’estate, e d’inverno nel mio girarrosto, ospite. Ma ho freddo e un mal di testa feroce coi 28 gradi centigradi accuratamente selezionati in camera per avvolgermi poi come un bozzolo arancione. Ho fatto molte foto al cimitero in tre aree simili e diverse allo stesso tempo. Mucchietti di terra coprono corpi dentro bare, alcuni sembrano di cenere, altre sembrava –la terra- bagnata e di un colore solido, un bruno straordinario e compatto così come i verdi, magnifici e vari, del muschio e le erbacce –alcune erbe dolci- bellissimo a vedersi e pensavo alla Puglia, al 28 gennaio pensavo mentre ascoltavo “For Stephen Wolpe” di Morton Feldman.

Mucchietti di terra su terra come non se ne vedevano da cent’anni o da cinquant’anni, un secolo o mezzo quasi e che formano un principio, nuovo, di cimitero –potrei dire- diverso da quello di fine anni 70 e 80 dove le tombe furono oggetto di un’agguerrita speculazione edilizia, pareva ci fosse l’urgenza di avere un alloggio o condominio per l’eternità, selvaggi erano i vivi e i morti, i vivi perché già impegnavano i geometri novelli a stabilire una corsa vanitosa, anche per i morti poi, e questo aveva in qualche modo dato pane ai muratori, ai giovani studenti che in estate soprattutto andavano a lavorare come manovali per potersi, poi, pagare qualcosa, gli studi, o la fine.

Salvo Monica, Maria va a trovare Elisabetta, inchiostro acquarellato su cartoncino, 1994

25 dicembre

[…] che in fondo questo esempio totale di disegno senza arte né parte, in questo tempo dove si privilegia l’esodo come scampo, dovrei dire come ulteriore chance nell’invenzione di un modo comune, ha qualcosa di unico. Quel sinistro niente, affissato male al muro, che per vederlo bene bisogna stare in punta di piedi, ha qualcosa che in niente assomiglia all’arte se non alla sua fede, fedele alla sua risorsa sorprendentemente fuori da ogni tempo.

Dove si erige un castello? – Angelo Rendo

Quella capacità penetrativa che sfuma nell’attrito col foglio: quella stessa che ravviva il cuore quando si è lontani.

La mescolanza delle correnti preserva la vita, lasciando un gorgo di dolore in luogo imprecisato.

L’autorità implica delle regole soggiacenti al male applicato al bene.

Dove si erige un castello? Boh.

Come un pensiero netto
il piatto.

Avendo intenzione di primeggiare, il disgraziato inclinava pericolosamente verso il vallo.