Non c’è fatto di non pensare che il ridimensionamento non sia l’esatta misura d’accesso al Regno.
Mese: aprile 2020
I PIÙ ALTI CANTI D’AMORE – Angelo Rendo
Vorrei scrivere tanto, ma sono troppo occupato dal rispondere al bisogno umorista, non mi serve scrivere. Certe giunture hanno iniziato ad assumere un’altra articolazione. Come se chi ci parla non dovesse più rincasare. Ma, a ben vedere, è lo stesso che un autore chiami chi non voglia essere chiamato. Lo spirito si perde sempre nei peggiori momenti della storia. Così dice chi non ha mai pensato al dicibile, a quale paradosso neghi la parola alla parola in un cortile. Nelle più aperte stanze della terra c’è chi lotta per chiudere una partita, mentre in ogni segreta corte i più alti canti d’amore.
È un’altra cosa. Un’altra cosa quella che voglio dirmi, magari non la si trova che nel giorno. O forse abbiamo paura che di giorno viva la notte. Non è che un’affermazione l’augurio che tutti noi abbiamo elevato ad essa.
Scriverei quel che non canto, solo fosse mortale quel mondo, la parola che lo scrive. Ma quel mondo non è che lo sguardo più delicato del destriero dell’ultima cosa rimasta.
Quale sia il panorama potremmo non più saperlo, o averlo visto dalla notte del tempo, benché l’acqua non fluisca se togliamo ogni nesso.
Dimentichiamo il peso, la coorte romantica che circonda le generazioni paghe di visioni.
UN CONTINENTE ALLA DERIVA – Angelo Rendo
[Naipaul, “Dolore”, nella nuova collana digitale ‘Microgrammi’ di Adelphi.]
Naipaul soppesa il lutto: il dolore ne è il precipitato. Esso non ha luogo, se non in quella soluzione chiamata vita. E non ha niente a che fare con la parola dolore questo dolore.
La parabola delle tre esistenze che nello scritto si incrociano oscilla sopra un regime vocazionale intriso di umorismo e astuzia. Che è poi lo stato assoluto di quel continente alla deriva chiamato Scrittura.
ora che siamo tutti uguali – angelo rendo
ora che siamo tutti uguali,
qualcuno
dica la meraviglia
che non sentiamo.
IL COLMO DELLA MISURA – Angelo Rendo
I giovani e i vecchi sono i più restii al suo cospetto. Gli uni non la conoscono, gli altri, che la sanno, hanno gettato il metro. Il metro rimette ogni cosa al proprio posto, livella. E misura la distanza fra inerzia e sparizione. La misura è il presentimento, il nodo insolubile, l’apparizione violenta della quiete. Chiedersi cosa si prova e non saperlo dire. Ecco il colmo.
LE CREAZIONI DEL SUONO (Wallace Stevens – trad. Angelo Rendo)
Se la poesia di X era musica,
che gli veniva da sola,
senza nemmeno comprenderla, uscendo dal muro
o sul soffitto, dentro suoni non scelti,
o scelti velocemente, in una libertà
che era il loro elemento, non sapremmo
che X è un ostacolo, un uomo
troppo se stesso, e che sono migliori le parole
senza un autore, senza un poeta,
o di un autore separato, un poeta che non è poeta,
che ci cresce dentro e da noi esce, intelligente
al di là dell’intelligenza, un uomo artificiale
a distanza, un espositore secondario,
un essere di suono, al quale nessuno si avvicina
uscendo fuori dal seminato. Da lui, raccogliamo.
Dite a X che la lingua non è silenzio sporco
ripulito. È un silenzio ancora più sporco.
È più di un’imitazione per l’orecchio.
Egli non ha questa complicazione venerabile.
Le sue poesie non sono della seconda parte della vita.
Non complicano la vista del visibile
né, riecheggiando, conducono la mente
su trombe particolari, a loro volta spinte
dalle peculiarità spontanee del suono.
Non ci diciamo come nelle poesie,
ma in sillabe che nascono dal pavimento,
lievitando come parole impronunciabili.
THE CREATIONS OF SOUND
If the poetry of X was music,
So that it came to him of its own,
Without understanding, out of the wall
Or in the ceiling, in sounds not chosen,
Or chosen quickly, in a freedom
That was their element, we should not know
That X is an obstruction, a man
Too exactly himself, and that there are words
Better without an author, without a poet,
Or having a separate author, a different poet,
An accretion from ourselves, intelligent
Beyond intelligence, an artificial man
At a distance, a secondary expositor,
A being of sound, whom one does not approach
Through any exaggeration. From him, we collect.
Tell X that speech is not dirty silence
Clarified. It is silence made dirtier.
It is more than an imitation for the ear.
He lacks this venerable complication.
His poems are not of the second part of life.
They do not make the visible a little hard
To see nor, reverberating, eke out the mind
Or peculiar horns, themselves eked out
By the spontaneous particulars of sound.
We do not say ourselves like that in poems.
We say ourselves in syllables that rise
From the floor, rising in speech we do not speak.
RESET – Angelo Rendo
È venuto da Marina di Ragusa, in vesti da lavoro e con una lisa magliettina a maniche corte, bello in carne e gioviale, accaldato, settantenne direi. Iperteso, diabetico, ma magari no. Si carica la bombola e sorride. Ridiamo guardandoci. E che cosa dobbiamo fare, ci hanno rizzittati (rassettati, riposizionati, resettati, azzerati) esclama in dialetto. Non c’è scampo, mi rimbecca, lei ha la mascherina, ma non c’è mascherina che tenga. Rimarrà chi è più forte. Dopo cinque minuti arriva un altro, in pantaloncini, lo stoppo subito, prima che esprima la sua richiesta, Anche lei viene da Marina di Rg, vero? Sì, è da due settimane che sono in pantaloncini. Ha ricci fitti, a guisa di anelletti per la pasta alla Norma, incollati al cranio, e l’occhio ha giurbino.
LETTERA ALL’EPIDEMIA – Angelo Rendo
La società non si invera nell’eros, e nemmeno v’è profondità che possa perdersi nel rito, bisognerà vedere quanto larga la visione che informa gli officianti.
Proprio la parola-schermo, il logos imperante – che è anima del dispositivo – proietta su un palcoscenico e fa meta- di tutto, sperimentalismo e riscrittura.
Quale palcoscenico – che benedizione! – Siamo fuori dalla socialità, dalla sua scontatezza, e colui che parla tra di noi è il primo, e l’ultimo, agapico e senza nome.
Lontani dalle falsi luci, l’inganno annidandosi al livello certificato dal ruolo sociale.
Ma non si dà pienezza senza il capovolgimento del fronte: desacralizzare il flusso metastatico-evolutivo, impietrirlo.
Si è spento, allenterà la presa finché io stesso non lo risveglierò.
Non basta misurare la distanza fra due individui, il caso di luce fioca ammanta il male senza che nessuno possa.
Non credere che la parte più segreta e generativa sia fatta d’intenzione o che sull’intenzione possa darsi il dispiegamento delle forze alate.
Così il cervello è stato deregolamentato, e finito negli ingranaggi iposonici. E nell’andirivieni tecnofilosofico le forme si slabbrano, si spargono, e riorientano verso la nullificazione dell’esperienza.
SAETTA – Angelo Rendo
Ogni morbo sta nel fondo, in ogni fondo o su ogni cima, dormiente, finché l’ideologia della performance con la sua sistematica protervia non gli dà parola e corpo, lo evoca e se lo ritrova nudo per strada.
NON ASCOLTATE I POETI – Angelo Rendo
I poeti sono noiosi, non raccontano niente, tengono tutto per sé. E nulla sanno, tutto hanno dimenticato. Non fanno mistero su quel che accadrà. Non contano frottole, né accampano un sistema, sono là, a due passi da te, non si curano. Tossiscono, starnutiscono. Non danno una mano.
Quando parlano, sette, o sette volte su sette, sono immuni dalla poesia. Chi li ascolta guarisce da un male che non ha, chi no s’ammala.