Riccardo Pedrini è uscito dai Pooh – Angelo Rendo

Ho letto poco fa (http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/con-ms-kakashnikov-wu-ming-perde-pezzi/) che Wu Ming 5 (Riccardo Pedrini) ha rotto coi Wu Ming. Pare abbia subito una dura reprimenda dai compagni per aver rinnegato quel marchio di fabbrica cheap. Ha scritto un ‘romanzo in prima persona’.
Si era stancato dei filtri, della fiction, dei meccanismi aziendali del collettivo.
Ha comunque scelto di mantenere disonorevolmente la spendibile maschera del Senza Nome 5.
Il monolitismo di questa frangia di illuminati inizia a vacillare, ma, al netto della polemica interna al politburo, questo avvenimento per me, morto di sonno stamane e nei secoli dei secoli, vale quanto la decisione di Riccardo Fogli di abbandonare i Pooh per Patty Pravo.

Addosso alla dittatura mediatica! E poi scoprire di esserne foraggiati…

DUE ESEMPI DA MANUALE

EVELINA SANTANGELO: “A me non interessa il «messaggio» in sé, che sento parola pericolosissima, se brandita come una spada, né interessa (in assoluto) chi ha prodotto quell’opera e con quanti soldi (perché tutto ciò avrebbe a che fare con un altro genere di riflessioni e un altro genere di problemi, rilevanti, ma di natura diversa. Problemi, per inciso, che mi riguardano, certo, e mi toccano personalmente, avendo pubblicato anche io con Einaudi gran parte dei miei libri).”.

Evelina Santangelo, palermitana, domina con queste parole (tratte da un intervento a chiusura di questo post su Nazione Indiana, qui) la “dannazione”.

Quale forza, a monte della professoralità – che pasce a valle ruminante -, mi chiedo, dovrebbe possedere autore ed opera e per quale strada andare o quale spada brandire colui che ha fatto sfida al tempo con la popolarità vanesia del ruolo? Come può?

A me interessa il messaggio, da dove viene, e il suo effetto di trascinamento; la relativizzazione, snobberia della più bell’acqua, è una tana.

GABRIELE FRASCA: “Il mio rapporto con l’editoria è ambivalente. Mi trovo a lavorare sia per la piccola editoria che per la grande editoria, come per esempio può essere per Einaudi e in questo caso parliamo proprio del nemico perché Einaudi ormai è Berlusconi. Per altre cose, invece, cerco disperatamente di trovare altri editori e di lavorare in una maniera diversa per rifuggire alla massificazione che è inevitabile nel caso della grande editoria.

Il mio lavoro per Einaudi mi lascia totale libertà ma soltanto perché mi occupo esclusivamente di due settori particolari. Uno è la poesia. La poesia non vende e quindi sulla poesia non intervengono anche perché sarebbe inutile visto che il più delle volte le poesie non si capiscono. Il secondo sono le traduzioni beckettiane e lì si tratta di un’opera che già esiste e quindi non si può bloccare.

Credo, invece, che scrittori che lavorano per Einaudi, come ad esempio i Wu Ming, abbiano dei problemi ben più seri; penso che loro debbano rimanere per forza su un target, non potrebbero mai scrivere una cosa diversa da come la scrivono. Volendo metterla su questo piano, i Wu Ming si sono venduti da subito. […]

Ho scelto di non fare lo scrittore di professione, perché altrimenti non sarei stato libero, però, ovviamente, faccio il lavoro più vicino a quello dello scrittore, cioè insegno.”.

Gabriele Frasca, napoletano, sembra affiorare da una nicchia (qui, l’intervista da cui le sue parole), lavora o, come dire, tiene famiglia, scrive poesie, la poesia non è capita, traduce Beckett, un classico; pensa di farla franca. Di nuovo, come sopra, e con in più l’inserto moraleggiante per i teneri Wu Ming, nell’insegnante che scrive c’è conflitto fra idealità supposta e pratica realizzazione.

Insomma: estenuatezza, maestria nel calcolo alfanumerico, manualizzazione della parola.

Non scappa nulla alle menti brillanti che certosinamente e con pazienza fanno quel che c’è da fare. Senza il minimo sospetto che il tempo si perde.

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Angelo Rendo, diritti riservati, ottobre 2009

Pasquale Giannino: real italian epic (R.I.E.)

…………………………………………………intervento di Giuseppe Cornacchia……………………

Ho letto il saggio di Roberto Bui sul New Italian Epic, scaricabile qui: http://www.wumingfoundation.com/italiano/WM1_saggio_sul_new_italian_epic.pdf

Documento lungo e sicuramente interessante, da rimasticare senza fretta. Le perplessita’, come sempre quando si vuole recintare una presunta “nuova tendenza” o “tendenza in atto”, riguardano la congruenza dei dati raccolti (i libri esaminati, il contesto socio/letterario nel quale sono inclusi) e la plausibilita’ delle ipotesi che ne dovrebbero scaturire. Siamo in un periodo nel quale tutto si puo’ dire, anche che gli asini volano, per cui non stupisce che le reazioni siano eclatanti e soprattuto che tanta gente prenda queste 18 pagine sul serio; a me pare essenzialmente che un insieme di scrittori noti per la loro “macchinosita’” (concettuale, stilistica o di costruzione del plot narrativo) cerchi di mettersi a testuggine e fare massa critica, anche nei riguardi di eventuali sbocchi all’estero. E’ tutta una cricca? No, e’ semplicemente un manipolo di coraggiosi chiacchieroni molto molto italiano. E’ comunque un’operazione legittima, picarescamente mastodontica e tutto sommato innocua, ottimo fulcro di discussione anche animata. L’appunto sostanziale che a prima vista mi muove e’ che molto di quel che si scrive in Italia, a questo punto, essendo rimastico di americanita’ piu’ o meno mitizzata, possa rientrare nella categoria. E mi trovo a stupirmi di come, invece, gente che scrive molto meno macchinosamente e soprattutto piu’ italianamente (con tradizione che va indietro verso Alvaro e Gadda, fino a Verga, ad esempio), venga ignorata pur avendo tutti i crismi per rappresentare davvero la RIE, real italian epic. Ecco, per dire, l’inizio del racconto di Pasquale Giannino, oggi trentaseienne, ingegnere trapiantato nel milanese, che lascia le sue tracce letterarie sul bloggone “la poesia e lo spirito”:

“Quando mi sento giù ascolto un disco di Renato Carosone. L’ho visto nel ‘91 al teatro di Altomonte. È un paesotto del cosentino a una manciata di chilometri dal mio. A differenza degli altri comuni della zona, che stanno morendo, ad Altomonte negli anni Ottanta c’era un vecchio professore di lettere che ebbe un’idea particolare. Disse: Noi non abbiamo niente in questo piccolo paese, neanche gli occhi per piangere. Però abbiamo un borgo che molti ci invidiano: da una parte le case a forma di presepe naturale, dall’altra un belvedere da restare senza fiato. Per di più siamo nella Magna Grecia, l’unica cosa che ci manca è un teatro…” … il racconto di Giannino continua su:http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2008/05/31/il-maestro-del-buonumore/

La strimpellata del buon Carosone (tu vuo’ fa l’americano, mericano, mericano) riecheggia nel cielo della NIE come il “vita mia” di Amedeo Minghi risuonava nei comizi del sindaco calabrese Cetto La Qualunque, vivida espressione del RIE (real italian epic… qui riprodotto esemplarmente: http://it.youtube.com/watch?v=_DyM9s9J14Y) che ad un tratto vediamo sorpassato da questi eruditi operatori fieristici del book globalizzato. Nemmeno fossimo noi Italia un residuo coloniale cosi’ interessante in ambiti anglofoni, tralaltro, Gomorre a parte.