[Dai commenti in calce ad un post sull’ultima antologia Einaudi dedicata alla poesia femminile, in le parole e le cose, uno spunto sul dove siamo e sulle impossibili maniere di rimetterci in rotta. GiusCo]
Giuseppe Cornacchia: Io credo occorra stare molto terra terra quando si parla di antologie, perche’ la collocazione pubblica della poesia in Italia negli ultimi 20 anni e’ veramente precipitata, assieme alla sua percezione presso i non specialisti. Molte migliaia di persone scrivono versi e alcune migliaia ne pubblicano ogni anno a pagamento. Ci sono decine e decine di case editrici regionali, provinciali, individuali che sono a tutti gli effetti vanity press. La gente si stampa, si fa leggere dagli amici di parrocchia, si costruisce un CV e si crede poeta. Dall’altra parte, le 2-3 case editrici dal catalogo storicamente importante si sono dedicate ad esperimentini su base sociologica (Einaudi) o a perpetuare una linea culturale ormai imbalsamata (Mondadori). Sia le une che le altre incidono zero su quel che sta all’esterno dello stagno poetico, inclusa la pubblicistica (che preferisce citare le canzonette invece dei versi dei poeti, che peraltro nemmeno conosce). Fra la cooptazione all’italiana e il todos caballeros di chi paga, non vedo grandi differenze di qualita’ letteraria, almeno nelle punte piu’ alte. Credo anche che la medaglia piu’ pesante sia oggi stare *fuori* da qualsivoglia antologia e *fuori* da qualsivoglia operazione editoriale a pagamento. Con ilmiolibro, in questo 2012, si stampa on demand con ISBN e non si cedono i diritti sul proprio materiale a nessuno, ad un costo che ormai sta sotto i 100 euro l’anno. Non si spedisce il proprio libro a nessuno, non si fa parte di nessun circolo pseudo-amicale e si evita di finire nelle ragnatele che portano a commenti come quelli di Cohen, sospesi tra una pretesca e finta innocenza su come va il mondo reale e la consapevolezza che il peso specifico di tutta la carta che cita e’ esattamente pari a zero (a parte che per i presenti e per i parenti).
Ennio Abate: Questa lucida diagnosi mi pare un buon punto di partenza per porre il problema di come essere positivamente molti in poesia oggi.
Si può continuare imitando i vecchi riti dell’epoca dei pochi in poesia e darsi da fare, appunto, producendo antologie, che pescano qualcosa del mare magnum turbolento e in parte ignoto della produzione poetica attuale o che passa per poetica; e inevitabilmente, essendo comunque tante le antologie e spesso costruite approssimativamente (poiché il lavoro critico è stato dismesso o è anch’esso in condizioni precarie), il loro effetto sarà limitato: al vociare dissonante della massa poetante non si può che sostituire un vociare appena meno dissonante e incerto o pretenzioso, dei poeti selezionati o “emergenti”.
Si può prendere atto di una cesura storica, evitare di proseguire coi vecchi riti, porsi seriamente o come singoli o come gruppi il problema di come essere positivamente molti in poesia oggi imponendosi i compiti che ne derivano: costruire una nuova estetica, una nuova critica, una nuova politica editoriale (e quindi frenare la voglia di pubblicazione a tutti i costi, frenare la produzione a catena di montaggio di testi, andare in direzione di quella ecologia della scrittura e della lettura che una volta F. Fortini consigliò…)
Stare *fuori* (e non solo da qualsivoglia antologia o da qualsivoglia operazione editoriale a pagamento) ha un senso se si lavora pazientemente e con determinazione ad un’altra prospettiva. Altrimenti sembra che ci si metta da soli in castigo o ci si distingua moralisticamente dagli altri.
Ci vuole un’altra prospettiva.
Manuel Cohen: @Giusco. Si dice da tempo che la poesia italiana viva nell’autoreferenzialità. Lei suggerisce che ognuno si stampi da solo: bene, all’autoreferenzialità aggiungiamo un surplus di monadismo. Complimenti per le sciocchezzze.
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Le tre posizioni sono dunque chiare: una, di chiaro rigetto e dunque di isolamento da quelli che comunque sono pur sempre, sociologicamente, i pari in questo settore. Una seconda, di paziente lotta dal di dentro, provando a costruire una pratica diversa cercando alleanze tattiche. Una terza, di non guardare a questi aspetti contingenti e di rimanere sulle cose presuntamente belle, sui testi. GiusCo
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