JP E L’ULTRAMONDO – Angelo Rendo

C’era un ristorante cinese in via Toselli a Pisa, e c’era JP. Chissà in quale ultramondo si saranno cacciati cinesi e sigle.

Di JP ricordo il collo morso, e quel che mi riferirono: era rimbalzato contro un filo sottile e invisibile, da parte a parte teso lungo la stretta via perpendicolare alla Toselli. Come non ci rimase secco!
Saettava con la sua vespa, e non sappiamo per quale ragione i due cinesini, che lì giocavano, non riuscirono a sgozzarlo. Poco ci mancò.

O di quando JP, seduto di fronte allo schermo scomparso e bruciato di una tv persa con un piccione in testa, concentrato su un audio di un altro mondo, compariva di spalle a noi che rientravamo a casa. Solo, al centro della stanza, e col finestrone, aggettante sulla viuzza, spalancato a meglio ricevere i miasmi del cinese.

FILOLOGIA E SARTORIA – Angelo Rendo

Nei banchi di mezzo, dove non c’era più nessuno, sedevo; tutti i normalisti stavano in prima fila, tranne qualcuno – poco interessato alla filologia, a Palazzo Quaratesi, in quella assai capiente aula – sotto il mio banco. E poggiavo sulla sedia vuota accanto il montone.

Vincenzo Di Benedetto, sommo grecista calabrese, arrivava accompagnato dal fido scudiero, quelle due volte a settimana in cui teneva lezione.

Aveva bisogno di conforto, il professore, di attenzioni, e cura. Io non sapevo. Dopo aver ricevuto dal Lami le rassicurazioni del caso, finalmente, toglieva il pastrano e prendeva il microfono; la vocina restava flebile e perduta, ignota. Lui lento, rigido e tremulo, minato dall’ideologia. I suoi occhi laminavano dietro lenti nere, cupe, lontani. Rincorreva se stesso nei segni alfabetici, nelle corrispondenze, e formularità – il corso era su Omero – parlava piano, non era tra noi, ma sperso dentro la lavagna, nei regesti, nei dizionari, negli elenchi.
Ricordo l’esame, bisognava aggrapparsi alla memoria, ed esibire le tessere del mosaico dell’intertestualità.

Molto sconnesso nell’eloquio, forse perché già malato, conduceva la sua battaglia contro la teoria oralistica. L’opera di Omero presuppone un impianto scritturale, sosteneva, riscontri intratestuali e trama organica starebbero a dimostrarlo. Omero era un autore col suo laboratorio, insomma.

Nei saggi del Di Benedetto il pensiero discorsivo diventava ossessivo, affilato; alla claudicanza vocale si sostituiva un incedere nervoso e assertivo.

La sapienza compositiva dei poemi omerici lo induceva a credere alla loro lenta macerazione scritturale contro i sostenitori dei tempi veloci di composizione.
Il sarto ha un disegno unico, trama e ordito ragioni che il cuore non ha.

Sfide – Angelo Rendo

A Pisa, prima di spegnere la luce, nella stanza che condividevamo con un amico, le serate passarono anche così: distesi pancia in giù sul letto, testa ai piedi, piedi alla testa.

Al centro della stanza veniva raccolta parte dei batuffoloni di polvere dimorante sotto i letti: lo strumento di gioco.

Sistemati nel centro esatto del ciclone, le timide lanugini subivano l’assalto polmonare. Soffiavamo senza posa, affinché dal centrocampo rotolassero sbilenche nella porta immaginaria dell’avversario. E la linea di porta era data dalla proiezione a piombo della barra laterale dei letti.

Il vincitore veniva decretato l’indomani.

Chi tossiva di più e/o starnutiva di più e/o si ritrovava più caccole nel naso (ne predisponevamo la conta) era il perdente.

Spettri, Lampi, Nomi e Numi (Ricordi Pisani) – Angelo Rendo

Di quando dalla casa di via Bovio arrivavamo alla stazione di Pisa col carrello della spesa sottratto alla Superal e zeppo di valigie. Destinati a Siracusa sul Treno dell’Etna.

Sarà stato il 1997 o il 1998. A Pisa. Io scendevo lungo via San Martino, loro salivano. Carlo Alberto Madrignani e Valerio Magrelli. Non so dove andassero. Stranito Madrignani, stretto nelle spalle Magrelli.

La mente di Dio è senza parola, per lenti e vacui balbettii registra ad ognuno il proprio numero nel libro insperato. E da questo gli atti, le manomissioni, e le ghiere tra gli uni e le altre. Come un pugile che tiene fermo l’obiettivo, dissanguandolo, così guardo e prego.

Quel grumo, che è detto essere, non è detto. Di questo falso convincimento, che non è più falso, parlavamo a Pisa. In linea di massima ogni generazione ha la propria mente in Dio e non c’è dubbio che forzi nel girone i passi inutili della poesia.

Che poi non è che l’opera di un maldestro fabbro, il quale nell’agosto di fuoco salda la luce del sole alla più trita limatura del pensiero.

In via Bovio, dove abitavo – oltre al circolo Arci Agorà, che arrivò dopo – insistevano altri esercizi, pochi e malmessi. Ricordo con affetto l’ossessivo “Targhe, incisioni, timbri Scarpellini”, e il severo “Possenti Impianti”, per esempio. O di via San Martino, subito a destra, uscendo di casa e scendendo per via Gori, ricordo con tremore e disincanto la temeraria “Macelleria Sbrana”. Ahi!

Palazzo Agonigi, via Galvani 1, IV piano, Sezione di Greco, Aula Aurelio Peretti, Dipartimento di Filologia Classica. Pisa.

Sono seduto, e mi tengo strettissimo, nell’unico angolo della stanza, alla sedia.
I tavoli da studio ricoperti di similpelle verde, disposti a ferro di cavallo, immobili, il docente al centro, dorato, tutti intorno dodici/sedici ragazzi, palafrenieri. Il dispari in un angolo, alla destra del professore, in fondo, un fondo vicino. Un poco nascosto.

“Cortesemente, Rendo, mi può prendere i ‘Prolegomena to Homer’ di Wolf? Se si alza, il testo è alla sua destra, sopra la sua testa, per quanto ha lunga la sinistra.”

Ho finito di leggere una recensione a ‘Paura reverenza terrore’, l’ultimo saggio di Carlo Ginzburg. E mi ha preso un lampo imaginale.
Primi anni del 2000, Pisa, mi dirigo alla stazione per andare chissà dove.
Sotto le logge di viale Gramsci mi imbatto in Ginzburg e Adriano Sofri. Il primo in talare rosso ponsò e galero è tutto orecchi per il secondo in clergyman e collarino bianco, ciondolante e stanco. Mi faccio il segno della croce.

Spettri – Angelo Rendo

Palazzo Agonigi, via Galvani 1, IV piano, Sezione di Greco, Aula Aurelio Peretti, Dipartimento di Filologia Classica. Pisa.

Sono seduto, e mi tengo strettissimo, nell’unico angolo della stanza, alla sedia.
I tavoli da studio ricoperti di simil pelle verde, disposti a ferro di cavallo, immobili, il docente al centro, dorato, tutti intorno dodici/sedici ragazzi, palafrenieri. Il dispari in un angolo, alla destra del professore, in fondo, un fondo vicino. Un poco nascosto.

“Cortesemente, Rendo, mi può prendere i ‘Prolegomena to Homer’ di Wolf? Se si alza, il testo è alla sua destra, sopra la sua testa, per quanto ha lunga la sinistra.”

Nomen Numen – Angelo Rendo

A Pisa, dove ho studiato, e in via Bovio, dove abitavo – oltre al circolo Arci Agorà, che arrivò dopo – insistevano altri esercizi, pochi e malmessi. Ricordo con affetto l’ossessivo “Targhe, incisioni, timbri Scarpellini”, e il severo “Possenti Impianti”, per esempio. O di via San Martino, subito a sinistra, uscendo di casa e scendendo per via Gori, ricordo con tremore e disincanto la temeraria “Macelleria Sbrana”. Ahi!

L’avanguardia è uno scherzo

[Edoardo Sanguineti, ricordo, lo vidi insieme a Michel Chion, se non sbaglio, in un palazzo vicino alla chiesa di S. Francesco a Pisa, in occasione di un incontro di non so più cosa, anno 1995, fine anno, primo d’università. Mai più visto. Letto alla rinfusa e senza spasmo né voglia. Per me ha rappresentato la vecchiaia; gli avanguardisti si pensano giuovani; ma è sempre letale scegliere, ancora di più scegliere la gioventù, ancora di meno conta la vecchiaia. La settimana scorsa mi è capitato fra le mani un foglio piegato in quattro. Annotato un sogno; da altri indizi recupero una data, agosto 2007. Eccolo sotto.]

Su un letto, pareva di morte, lo studioso Edoardo Sanguineti. Io accanto, a reggergli un tubo di gomma posizionato dentro uno squarcio alla gola o allo stomaco. Da esso sgorgavano sangue e altri interni umori.

Il tubo si gettava in bottiglie di plastica, che io reggevo e riempivo. 1, 2, …

Ad un certo punto, chiedo a mia madre se continuare a riempirne.

Mi risponde: “Che ne devi fare, ne abbiamo a sufficienza, lascia perdere.”.

“Cinquanta e Cinquanta” – il file completo

Goggo: gli sforzi titanici
Goggo: in un mondo nemico

Marzi: (parte all’attacco) occhi di budda… ma volete scatenare una guerra?

Henka: il mio karma è dare e se do io chiedo di essere amata per quello che ho. Comunque io do.

Jaap: io… capisco l’affare e valuterò i miei mezzi…

Marisol: Jaap? Ciro? Giacomo? Flavio?
Henka: (ridendo) e Tommaso, e Martino, e Santino.

Goggo: dopo il nobel a trent’anni il Corvo si spara
Marzi: è tutto così irreale
Goggo: che si dice in giro?
Marzi: ci sta, si può dare, oggi tutto si può fare

Henka: (ride) nessuno può passarmi sopra e avere poi tempo di pentirsene!

Henka: chissà che donna troverai
Corvo: non penso troverò una donna
Henka: sarà mentale e sofisticata
Henka: come non sono io

Tommaso: sono venuto a riprendermi quel che mi spetta: questa baldracca (indica Henka)

Henka: no!
(Henka si frappone tra i due. Si sente un urlo)

continua e finisce su: https://nabanassar.files.wordpress.com/2010/06/cinqcinq4.pdf ——– maggio 2004

LISKO FABLES or tales to win a legend – II

tale: Awakenings and Side Gatherings

The Lizard wakened adventitiously right into her very birthday. Birthday is a handmade item produced exclusively upon individual request. There are no two identical ones in existence, there is no commercial dispatch. The serial number needs to be memorized and taken. Sentiments may sweep or not.

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tale: Horizontal Anxieties

That very day the Lizard peeled an eye open to a waning trample. The trample was of the unindentified and escapist sort, rhapsodic and haunting. As circumstantial as an occurrence may be, it appeared to the Lizard that from the most severe of angles she spotted a throbbing source and its rapidly ebbing reverberation: the ultimate fata morgana was toppling over the horizon. Soothed by such reflection of the image, the Lizard craned over her own strained neck and buried it among the sands.

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tale: GMT+1

The difference between the Lizard and a nonlizard embeds in manipulation. As some the Lizard manipulates time and matter, as at all a nonlizard manages times and numbers.

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tale: Solid Fears and Incompact Matters

The Lizard fell into a tremor. She slid her toes into the sand. The desert is a uniquely hygroscopic substance. It dries anxieties. It absorbs chills and attention. As time goes by the time slows down, amplitudes drop and calm infuses the air. The Lizard gathers the spirits off her shoulder and glides the wan shadows among the grains shaken off her front.

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———————————————by A.C., Pisa, Italy, 2003