La provinciale 38/II è una trazzera regia, una mulattiera, unisce Licodia Eubea coi comuni del ragusano. Decido di prenderla, nonostante la canonica uscita Vizzini Scalo/Licodia Eubea sulla statale Ragusa-Catania.
Imbocchiamo la 38/II subito dopo Piano dell’Acqua, frazione di Chiaramonte Gulfi, ci vorranno poco più di venti chilometri per giungere a destinazione, un budellino stretto e tortuoso, emorragico; alla nostra sinistra scorre non visto il Dirillo, i vigneti e gli ulivi occupano la vista fino alla diga di contrada Ragoleto, il lago di Licodia (o Dirillo), uno sbarramento improvviso, da lì si continua a salire per una terra di nessuno. Sbuchiamo a sud-ovest di Licodia, sotto il Colle Castello Santapau, a 600 mt. di altitudine, sembra un accesso fantasma, non fosse che, non appena ci si leva di dosso una schiera di case a destra, compare la Licodia fremente sulla valle del Dirillo e un belante gregge di capre.
All’ex Chiesa di San Benedetto e Santa Chiara, in Piazza Stefania Noce, giungiamo grazie alla gentilezza di due rumeni. La segnaletica è inesistente. Solo cartelli turistici relativi a monumenti del luogo in questa cittadina di tremila abitanti adagiata su un crostone calcareo, su una dorsale che lentamente va franando, lo dicono le strade, lo dice la gravità.
Io Licodia l’avevo sempre vista dormire lontano alla luce del sole, le volte che mi capitava di fare la Ragusana. E non sarei mai andato non si fosse data una occasione quale quella che si è presentata l’altro ieri, l’apertura della “Rassegna del documentario e della comunicazione archeologica” (22-25 ottobre), già alla quinta edizione, patrocinata dal MiBACT, dalla Regione Siciliana, dall’Università di Macerata e dalla Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto.
Prima di assistere alle proiezioni, però, facciamo una capatina al Museo Civico “Antonino Di Vita” in Corso Umberto I, imbucandoci insieme agli studenti dell’Università di Catania accompagnati dal professore di Archeologia della Magna Grecia. Il Museo si risolve in un’unica sala espositiva tramezzata da cinque vetrine. Si va dalla fase più antica di insediamento all’abitato arcaico, al centro indigeno ellenizzato, per lo più troviamo oggetti in ceramica della cosiddetta “facies di Licodia Eubea”, dalla tarda età del Ferro al V sec. a.C. Si tratta fondamentalmente di un centro indigeno con influssi calcidesi.
Alle 18:00 ha inizio la Rassegna, saluti di rito (Soprintendenza, Università, Direzione Artistica, Archeoclub), proiezione di tre docufilm.
“Un giorno la storia passò dal Parco dell’Etna” di Lorenzo Daniele, fuori concorso e meno male, imbarazzante racconto macchiettistico sul monastero di San Nicolò l’Arena.
(Mi sa che lo storytelling, del quale molto si è cianciato in questa giornata, ha fatto danni; a girarselo speziato in bocca compiaciuti cadono i denti; manca la capacità di neutralizzare i repellenti effluvi della seduzione narrativa. Bisogna popolarizzare l’archeologia, renderla seducente con l’ausilio di computer grafica e digital storytelling, del resto, ha poi affermato il giovane professore di Archeologia, chiamato a relazionare.)
“Pompei. Una storia sepolta” di Maria Chiffi è l’ennesimo docufilm in 3D su Pompei, un cartone animato che toglie fasto all’immaginazione. Il pop deve essere fra noi, è un elemento distintivo, dà lustro all’archeologia e stura all’indiscriminata invasione degli stalentati.
L’ultimo film, “Le misteriose pietre di Hakkari” di Bahriye Kabadayi Dal, regista turca, è, invece, un documentario classico; meraviglia e stupore scaturiscono dalla eccezionalità della scoperta, tredici obelischi risalenti al XV sec. a.C ritrovati in Anatolia; forse vi è una leggera discrasia fra commento e immagine, alla quale, però, sopperisce la tramortente bellezza dei luoghi filmati.
La rassegna è organizzata in modo lineare e sobrio, il pubblico attento. Ieri film su Paestum, i Vimana, Agrigento, sull’ipogeo di Cisternazzi a Ragusa, il fuori concorso di Nello Correale su Rosa Balistreri – essendo il tema di quest’anno “La musica nel mondo antico” – infine l’incontro con Correale. Oggi, sabato, sarà la voltà di documentari sugli Etruschi, sulla via romanica delle Alpi di Lucio Rosa, dell’incontro con la direttrice del Museo di Vetulonia Simona Rafanelli; domani, domenica, verrà proiettato lo spot per il “Paolo Orsi” di Siracusa, un documentario su Palermo, un altro sul meteorite di Saaremaa di Syusy Blady, presente in sala; è la giornata conclusiva, verranno consegnati i premi.
Noi non c’eravamo venerdì, né ci saremo oggi, né domani, mi dispiace. Abbiamo chiuso la serata fra i Siculi di Licodia in un panificio; alla cassa stava una ragazzetta poco più che quindicenne dallo sguardo torvo, la Regan MacNeil di Licodia, l’ingresso al museo è dieci metri più avanti, dentro vi è un sarcofago con un inumato, non sarà Pazuzu, ma il pane che Regan ci mostra, chiamato “rognone”, inquieta. Optiamo per un calzone e una pizzetta, un’altra la portiamo in macchina, non facciamo in tempo a svolgere il fagotto che cade in terra fra i piedi, la mettiamo da parte; stavolta la strada non sarà la trazzera, ma la statale Ragusana. A Vizzini Scalo c’è un maremmano solo e triste in attesa, a lui la pizza.
Angelo Rendo
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