Un angelo – Angelo Rendo

Quasi tutti i giorni percorre la provinciale. Spesso, accompagna a piedi la bicicletta, i capelli arruffati, innumerevoli buste di plastica appese al manubrio. Tiene botta come un sonnambulo, dritto, un impermeabile verde lungo lungo, assai largo e, sotto, un camicione di pile a quadri rossi e neri.
Da un po’ di tempo a questa parte parla. Si direbbe tra sé e sé, se solo la nube serafica che lo avvolge non lasciasse presagire un dialogo temporalesco e sostanziale con uno spirito-guida.
Quando lo vedo passare qui davanti – mentre attendo involarsi una macchina – sguardo perso fisso alla meta, incurante stringe a tenaglia pollice e indice, a un palmo dal volto, con le due dita che si fronteggiano a cinque centimetri l’uno dall’altro.
Misura. E sommessamente ride. Da varco a varco d’entrata e uscita.

Alzheimer, figlio di Dio – Angelo Rendo

Guarda come si soffia con la coda, e guarda, persino laggiù ci sono altre code e stanno tutte insieme, può servirsi anche di quelle. Dal sedile passeggero così parlava rivolto a me e al suo accompagnatore. E ci mostrava il mio cane che, seduto, in sensi ci guardava; e si spingeva fino all’erba della Pampas alla sua destra coi suoi alti e sensuosi ciuffi, a cinque metri da Rok. E, in un a parte, a bassa voce diceva alla sua guida Mi sono emozionato. E subito riprendeva a declamare osando: …il grollo che si incastra da ambo le parti. Con pollice e indice di una mano che affondavano nell’anello dell’altra.

Lo saluto, prima che vadano via, e mi fa sciogliere con un Oh carissimo, da tanto che non ci vediamo! Quindi, ripartono; e mi grida dal finestrino aperto Tanti auguri.

Le malattie entrano dalle fessure della porta. Io credo in Dio. Ha passo lento e gambe pesanti, ma arriva, e tutto sistema – il Galletto, il giorno prima, alla stessa ora di questa mattina aveva cantato, del resto.

Non ricordo.

Mutezza – Angelo Rendo

A rigor di logica chi sa leggere tarda a parlare, o diviene muto. Al massimo scrive. E se scrive è perché è un muto numero.
Rimane a bocca aperta e non dispone di ciò di cui ci si serve dopo aver chiesto il permesso.

Il tempo sbarra la volontà, e si perde.
Niente a primo pensiero.

Il miracolo ritorna a chi ode come un omicidio, che un uomo opera verso un suo simile. È incomprensibile che – quando la vista si gonfia – qualcuno obietti: “La riconoscibilità è micidiale e regna nelle fosse.”.

Quindici glosse per duecentosessantotto battute – Angelo Rendo

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[Le duecentosessantotto parole di “Quindici glosse per duecentosessantotto battute” sono state scritte nell’arco di nove giorni, dal 30 gennaio all’8 febbraio. Si tratta di quindici glosse a un libro. Il libro è “Le battute fulminanti di Richard Feynman”. Riunisco le due parti (“Dieci” e “Cinque”). A. R.]

È dentro questo clamore, dentro questa onda lontana. Spinge. Qualcuno non riesce a tenere la fila e si schianta contro la luce, qualcun altro contro il buio; chi, invece, la mantiene ha dalla sua i morti, chi come un missile trapassa tutti quelli che lo precedono sta sul bordo nel suo turno nel suo rigore infine.

Tenere l’intrigo separato dall’intrico è nell’ordine delle cose.

La ripetizione calibra persino la durata dei corpi. C’è uno stampo per ogni dove.

‘Come stanno le cose’ è senza dubbio una perifrasi di dominanza.

Se qualcosa scappa, prendila, se ci riesci, o dimenticala, non maledirla!

Comprimendo il tempo sullo spazio leghiamo il relativo all’assoluto.

Quel che cade non può essere in linea che con l’immaginazione. E con lei sola.

Quando stiamo per andarcene, c’è sempre una curva alle nostre spalle a trattenerci.

L’eleganza consiste nel fare in modo che il coniglio non esca dal cilindro.

E così il calore è una forma del dolore: quanto più da esso ci si allontana tanto più si fa vicino.

La rovina e, sotto, il fondo fascino e l’atomo. In una volta tutta compare la verità, a prova di bomba.

La tolleranza, se un peso la ottunde, necessiterà di un fuocherello, per essere sollevata.

C’è forse un argomento che possa governare l’astrazione?

Mi è tutto chiaro, dopo che faccio rotolare via la penna, lontano da me.

Ogni giorno, non possiamo pensare nulla di umano e vicino – fatto della nostra stessa carne, più prossimo e interno a noi di quanto lo siamo noi stessi prossimi a lui e a lui interni – se non smette di portare un nome.

Cinque – Angelo Rendo

La rovina e, sotto, il fondo fascino e l’atomo. In una volta tutta compare la verità, a prova di bomba.

La tolleranza, se un peso la ottunde, necessiterà di un fuocherello, per essere sollevata.

C’è forse un argomento che possa governare l’astrazione?

Mi è tutto chiaro, dopo che faccio rotolare via la penna, lontano da me.

Ogni giorno, non possiamo pensare nulla di umano e vicino – fatto della nostra stessa carne, più prossimo e interno a noi di quanto lo siamo noi stessi prossimi a lui e a lui interni – se non smette di portare un nome.

Plaja Grande, Scicli, Scempio – Angelo Rendo


Vogliamo vedere il mare, la natura non può ostare alla nostra sete di aria, di bellezza; e temiamo anche l’intrico. Disboschiamo. Questo è avvenuto a Plaja Grande. Un timido boschetto d’eucalipti è stato in una parte –  per una ventina di metri – spianato e più avanti – sempre sul lungomare – ha subito un assai sostanzioso taglio. 
Il primo uomo avrà dato coraggio al secondo, che si è concesso però una certa e ipocrita pelosa misura. Ora, gli affacci sul mare di due ville mirano all’infinito: un acquitrino che chiama a sé uragani.