Incontri – Angelo Rendo

Un padre, che ha perso il figlio poco più che diciottenne in un incidente stradale alla fine del secolo scorso, mi ha fatto mettere a piangere. Un incontro casuale, all’impiedi in un corridoio; chi sono io, chi mio padre, i miei parenti, io invece sono il padre di; traslo la sua faccia in altro corpo, e vedo il figlio cancellato, senza confini; i tratti del volto come linee di costa e selle che conducono al viso di un altro signore, collega del padre.

Pena, vivissima pena, vent’anni e il nero ancora risplende: corpo, abiti, viso e cappello; un vuoto che chiama, desidera affetto, partecipazione a un dolore senza fine.

Te lo dico io chi sono, anche se non mi conosci e siamo dello stesso paese. Io sono il padre di un morto di morte violenta. Ci ha lasciati poveri e pazzi. Aiutami a portare questa croce in questo tratto che ci unisce. Piangi e porta la mia pena.

Cerco di trattenermi, ma non credo possa riuscirci, lui apre il portafogli e mi mostra la foto del figlio, me lo ricordo, lo conoscevo, ci salutavamo, era un ragazzo mite. Distolgo lo sguardo dai suoi occhi, provo a parlare d’altro, il figlio mi guarda, lui mi fissa e io ritorno, soli nel corridoio. Piango, saluto, forte la mano gli stringo. Buone cose, gli dico. E, andandomene, mi accorgo di avere stretta alla mia mano destra la sua.

Risate – Angelo Rendo

Un vento sottile e gelido di tramontana stamane. Mi copro col cappuccio del piumino: un orsetto, né più né meno. Esco dal gabbiotto in cemento armato, e la giovane cliente scoppia a ridere. Che farci? E quella continua a ridere, ora a crepapelle. Boh? Arriva un’altra macchina. Un ragazzo saluta prima lei, poi me, e ride. Ridono. Parlo e non sentono. Ripartono.

Rientro. E alla mise aggiungo gli occhiali da sole a specchio. Dopo dieci minuti si ferma un professionista, piange sconsolato. Allora, mi tolgo gli occhiali, gli asciugo, forzando la sua ritrosia, le lagrime, mi tolgo il piumino, lo invito a inforcare i miei occhiali, lo aiuto a infilare le maniche del piumino, gli alzo il cappuccio e glielo premo ben bene in testa.

E mi piego dalle risate senza consolazione.

Cornuti – Angelo Rendo

Mi sono rimaste appiccicate con la saliva appena quattro nozioni di catechesi, per fortuna.

Il primo numero, quello al centro, il penultimo, l’estremo: quanto patire, battuti dal vento e dalla pioggia, i primi e gli ultimi; al centro la vita ribolle: bara.

Non è per nulla chiaro se chi sta seduto accanto ad un altro abbia una funzione. Certo, su una sedia può finire la vita.

Un lettore devoto, silenzioso, comprensivo, in ascolto e non cerimonioso.

La flemma rigorista, l’inutilità della scuola, l’estremismo laico, l’obiezione di coscienza come vessillo castale: la quiete è disturbata così dai cornuti sacerdoti della ragione.