Muta – Angelo Rendo

In un discorso piano nulla dovrebbe esser detto del futuro, cuocendo al limite – come un’ammenda che ogni atto creativo genera – la disposizione strofica del caso.

I facilitatori, quelli che oliano per benino le serrature dell’aldilà, riservandosi l’intera porzione di vita, perdono di vista il pudore del misurabile. Irriguardosi verso ogni scienza. Muta.

Che cosa? – Angelo Rendo

Qualcosa che non se ne va, che ti porti fino alla tomba, qualcosa che ti chiama, impressa a un metro e sessanta. A lei le regole, o le evasioni, o le moltiplicazioni della ragione, o il mare del sentimento. Di fronte a lei, che è grande: negarla o riconoscerla. O al caso, che governa sempre l’ultima azione, prima di ogni ragione.

L’errore. E la sorte ti è contro. E la verità ritorna nell’angolo dal quale non si è mai smossa.

Numero e parola – Angelo Rendo

I merli, le gazze e i colombacci – che furtivi s’avventano sulla pastura sparsa dal vento che spazza le aiuole vicine –  preso il boccone e spiccato il volo, la coda dell’occhio coglie. E per macchine, appena giunte alla colonnina, li scambia. Una coda sfinita mi induce ad alzarmi e, dopo l’abbaglio, a rimettermi subito a sedere.

Così parlò un matematico, che sempre seppe d’essere poeta dentro il cuore suo, la buona volta in cui tutto ciò che si è convinti di aver capito non vide mai più.