Intellettuali in ostaggio – intorno a “Teoria della classe disagiata” di Raffaele Alberto Ventura, Minimum Fax, 2017 (Angelo Rendo)

Quanto pretende questo libro? E chi vuole compiacere? La teoria si autofagocita per sovradeterminazione. E il libro appare inopportuno, senza via di fuga. Sommerso dal contemporaneo – e nell’orizzonte di attesa che esso dispone alla vista – versa in condizione di resto, minutaglia. Facile e comodo per prefiche e lamentatori. Commemorativo: un epicedio prima del seppellimento.

Un libro di testimonianza, troppo concentrato su se stesso. Quando l’autore, verso la fine, riprende Scheler, il quale scrive “il caso estremo è quello di un individuo o di un gruppo che considera la propria stessa esistenza e il proprio stato come motivo di vendetta”, e a seguire chiosa: “[…] non è questa appunto la condizione della classe disagiata?”, a me pare che un atteggiamento discriminatorio, classista, di palpabile posizionamento in seno alla società, infantile, innervi la “Teoria” e la pianti al suolo. La voce che ristagna al fondo è pretesca e subisce il richiamo delle storture psicanalitiche. Così le “finestre” – che più volte nel testo si aprono sul campo letterario – finiscono per edulcorare la teoresi. E infiammare le code mozze dell’evoluzione. Kafka viene pestato.

Scrittura da fortino. Che non osa nulla. Cucitissima. Che non rischia note in calce né bibliografia. Una massa che non permette distinzioni di sorta fra chi scrive e chi è ripreso. Un libro da capolinea, carico di troppe fermate, e in posa.

Il riconoscimento reclamato non è che un freno, la forza latente dell’ironia rincula. Ma soprattutto è difficile comprendere come l’istinto classificatorio non abbia ancora finito di tenere in ostaggio l’umanità.

Maestro, Principale, Buonuomo – Angelo Rendo

Tre sono gli esordi distintivi di un cliente all’arrivo: maestro, principale e buonuomo.

Maeeesro, il primo dei tre appellativi, è il meno formale, agguanta l’officiante del rito strapazzando la parola “maestro”. Il nesso consonantico -str- suona retroflesso -sr-, tutta la parola gonfia in bocca, prima di levarsi la lingua al palato ed esser cacciata via. E stranamente è un prendere confidenza che non riconosce ruoli, la bocca non trattiene la coscienza.

Arà principali…”Principale” è il più neutro, e come tale neutralizza gli umori. Di solito sono le nature più scontate e servili – quelle il cui principio sbatte contro la fine nel tempo di due secondi – a farne uso.

Infine buonuomo, “Buonuomo, cortesemente, mi mette…”. La sufficienza compassionevole che serpeggia in quest’ultimo caso, invece, è pericolosa. Carica com’è di turpe nonchalance, accende le polveri, risveglia i morti.

Il suono della biografia – Angelo Rendo

Perdo l’ubi consistam, quando mi capita di leggere nelle note biografiche: “Sue poesie sono state tradotte in ceco, lituano, inglese e spagnolo”; (e potremmo aggiungere qualsiasi altro idioma, manco a dirlo). A chi importa? Più alle confraternite di poeti che a un lettore motivato, serio e fuori da qualsivoglia gioco.
Ogni grandezza è realmente misurabile, ovvero traducibile, solo se non vi è coscienza di minorità. Dove la dominante, se della preterizione non si sa far uso? È il grado sensibile a dissonare; invece di riconoscere i plurimi gradi coi loro giri armonici, si è tentati dal primo piolo della scala. Che traballa. E serve al ruzzolone.

Il mondo e la pulce – Angelo Rendo

Oggi – che non ricordo nozione, né più mi sforzo di ricordarne, né tanto mi viene – ho un rapporto più sano col mondo. Il mondo è così deserto che lo stringo fra due dita, e il moralista è la pulce, il mondo che non cessa di fastidiare. Orbenissimo, quel Vogliamo Tutto non avrebbe potuto essere altro che lo slogan di una ideologia massificante. Aspiriamo la rozzezza del moralista dallo spirito del mondo e avremo la vastità dirimente dell’alba.

Intervista rubata – Angelo Rendo

[Allo scrittore toscano Vanni Santoni è venuta l’idea di porre undici domande agli scrittori stranieri partecipanti al Premio Von Rezzori. Ha titolato le interviste ‘Discorsi sul metodo’. Compaiono sul blog di Minimum Fax (http://www.minimaetmoralia.it/wp/tag/discorsi-sul-metodo/). Ne ho letta qualcuna, quindi ho immaginato di essere uno scrittore internazionale di prima grandezza. E ho risposto alle domande.]

# Quante ore lavori al giorno e quante battute esigi da una sessione di scrittura?

Dieci ore, durante le quali può darsi mi escano delle battute. Solitamente battute di arresto. Non esigo nulla. Non è esatto l’inesigibile.

# Dove scrivi? Hai orari precisi?

Da un po’ di tempo, da quattro anni almeno, scrivo direttamente sullo smartphone, scrivo post su Facebook; le traduzioni, invece, passano prima per la carta. Poi Facebook, quindi blog. Bara.

# Fai preproduzione o scrivi di getto?

Premo sui meridiani. E il sapere si aggruma prima, poi sfuma.

# Quante riscritture fai? Tendi a buttare giù prima tutto o cesellare passo passo?

La ripetizione, il prima e il dopo svelano; il lavoro non è provocato dal taglio, ma da una piana carezza o da un papagno definitivo.

# Scrivi più libri in contemporanea?

No. Il libro è un’entità sofisticata, un lume ottuso, bellissimo, oltrepassato, che oscura il portato inscalfibile. Ha interiorità violenta e virale.

# Carta o computer?

La prima mi deprime, il secondo mi solleva.

# Tic o rituali per favorire la concentrazione?

Minchiate.

# Come hai esordito?

Del mio esordio, avvenuto in quinta elementare, io, rotondetto, lento ma di piede buono, ricordo un gol all’incrocio dei pali poco fuori dall’aria di rigore nel campo di calcio a 5 del Polivalente di Jungi a Scicli. Impietrii. Non se lo aspettava nessuno, nemmeno io. Non ricordo più come finì l’incontro.

# Come è cambiato il tuo modo di lavorare da allora?

Continuai per altri tre anni, ma diventai sempre più goffo e lento. Inutilizzabile.

# Le opere che più ti hanno influenzato per quanto riguarda la pratica e il mestiere della scrittura.

Per ogni libro che non ho finito ho taciuto sui finiti. Le certificazioni sono al vaglio della polizia.

# “Esisti” online?

Sì. Lì.

Bernard O’Donoghue, ‘Cos’è l’amore’ [trad. Angelo Rendo]

È strano. Quanti i versi sull’amore
e nessuno che abbia detto
dove esso più stringa:
non nel sesso né nel volere
che l’altro stia bene,
ma nel passare tutto
il tempo a cena,
apparentemente presi dal discorso,
in realtà a incitare la mano
a tagliare l’invisibile spada sulla tovaglia
a toccare un dito che su di essa trema.

A un giovane prete di una parrocchia nel West Cork
fu detto che sua madre era molto ammalata
e che lui doveva venire a casa a Boherbue
(era già morta: volevano
ammorbidire la botta). Guidò come un pazzo
per il Mid-Kerry. Si schiantò. Morì
nella bella valle di Glenflesk.
E fu così perché, stolto, immaginò
di toccarle le dita per l’ultima volta.

~

The Definition of Love

It’s strange, considering how many lines
Have been written on it, that no one’s said
Where love most holds sway: neither at sex
Nor in wishing someone else’s welfare,
But in spending the whole time over dinner
Apparently absorbed in conversation,
While really trying to make your hand take courage
To cross the invisible sword on the tablecloth
And touch a finger balanced on the linen.

A young curate of a parish in West Cork
Was told his mother was seriously ill
And he must come home to Boherbue
(In fact she was dead already; they had meant
To soften the blow). He drow recklessly
Through mid-Kerry and crashed to his death
In the beatiful valley of Glenflesk.
This was because he fantasised in vain
About touching her fingers one last time.

Jett(er)atura – Angelo Rendo

1.

Io non mi raffreddo mai, ho il mio metodo. Farà parte della schiera di quelli che scompaiono di colpo? Speriamo di no, che siano gli altri a finire prima. Ma lei non deve avere paura della morte. Ma io non ho paura. Ma se è sempre vestito di nero, è il lutto in persona! No, io porto il lutto per gli altri che muoiono. È uno jettatore, l’orso in camper che ritorna al rifornimento, ecco cos’è!

2.

Mi illustra i suoi titoli in mail, inutili, come ogni titolo; mi blandisce: segue Nabanassar da tempo e lo trova assai interessante. Mi scrive perché vuole inviarmi due sue poesie, ma vuole vedersele pubblicate insieme a delle mie poesie, che facciano da controcanto alle sue, che vadano a trovare le sue, che le pungolino, dicano loro qualcosa, le rivolgano la parola, e che io dovrei scrivere per l’occasione. Gli è venuta questa idea.

Pupazzo tecnocrate – Angelo Rendo

A tempo perso, nessun tempo è perso,
porto
pollice indice e medio dentro il cavo:
un occhio mi tolgo. E lo getto
come se non m’interessasse.
Lì, nel punto.

Sono molto bravo, e orgoglioso me ne sto
per le prime e rime nascondo il fare
l’elemosina distratto come il secondo
occhio che quasi pure mi dolgo

se da posizioni alte ritaglio
la supremazia dall’esser presente
pur dissimulando.