
Il problema fondamentale che mi si pone nell’approccio a John Koethe e’ il tipo di poesia che questo autore ha prodotto: piana, discorsiva ma alta e con richiami filosofici, un mite imbozzolamento accademico, un afflato tranquillamente platonico. Non c’e’ grande variazione di tono ne’ di stile, e’ una specie di diario in pubblico. Peraltro Koethe non si fa premura di testimoniare i suoi debiti ispirazionali verso Proust e viene spesso ricondotto all’alveo tutto americano di John Ashbery e di Ralph Waldo Emerson.
Sono andato a ripescare l’antologia di poesia italiana curata da Andrea Afribo, “Poesia contemporanea dal 1980 ad oggi”, per carpire un modo di traduzione orientato al verso e al periodo, ad immagini semplici, invece che alla singola scelta lessicale che e’ molto piu’ comune in Muldoon e anche piu’ vicina al mio modo proprio.
Ho di nuovo apprezzato l’impostazione tecnica del volume di Afribo, che ad ampi cappelli bibliostoriografici fa seguire una dettagliata analisi testuale per ognuno degli otto autori considerati (Magrelli, Valduga, Frasca, Pusterla, Dal Bianco, Anedda e Benedetti), dei quali presenta circa dieci poesie.
A tentoni ho dunque imparato una nuova aria, cosi’ lontana anche dalla mia vita quotidiana, quella di una poesia media anche programmaticamente stupida, non esemplare ne’ notevole, apparentemente indegna di nota. Un rallentamento del battito cardiaco, un’indagine non per via di intelletto ma nemmeno corporale o emozionale. Un tranquillo viaggio in una vita borghese in un vastissimo Paese anonimo quale e’ gli Stati Uniti fuori dalle grandi metropoli.
Chi degli otto antologizzati da Afribo potrebbe aiutarmi ad imparare questo ritmo? Ho trovato buone consonanze in Fabio Pusterla e nel “Ritorno a Planaval” di Stefano Dal Bianco. Si tratta onestamente di poeti che non avevo mai capito in profondita’, sebbene genericamente apprezzati. Il fatto e’ che in Italia questo genere di poesia ha poca storia, non prestandosi al conflitto ne’ all’esaltazione del particulare (un luogo, un modo, un’ideologia).
Da tali premesse, come sono arrivato a voler tradurre John Koethe e’ la questione dirimente. Si tratta forse di un passaggio generazionale: esaurita la fase di crescita tipica della tarda gioventu’, da uomo adulto entro nel dominio del quotidiano, del tempo che scorre senza che sia dovuto un atto significativo, un progresso giustificativo, un evento sintetizzante. Anche a me tocca di trovare una pelle nuova e cambiare d’abito.
Potranno cominciare a risultarmi familiari i toni pusterliani, quelli di un Montale programmaticamente reso insipido?
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Giuseppe Cornacchia, agosto 2010
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