Sillabe lettere e partenze:
fili presi e raccolte
schiere per divisioni.
Vattene voce
e spegni lo spazio
che non so né posso
sapere ormai perso.
Sillabe lettere e partenze:
fili presi e raccolte
schiere per divisioni.
Vattene voce
e spegni lo spazio
che non so né posso
sapere ormai perso.
La tentazione di entrare nel mondo è un atto troppo mondano. Nonostante mi sforzi a inforcare gli occhiali, non vedo nulla.
Petunia Ollister, di cui il 12 marzo per la prima volta ho letto la rubrica (#bookbreakfast) su Robinson, trae dall’antologia illustrata dal titolo “75 litri” (www.madebytuta.com) la seguente citazione: “Sono state sottoposte agli artisti queste domande: immagina di partire per un lungo viaggio dal quale forse non tornerai mai, qual è il luogo che vorresti visitare? Come organizzeresti il tuo zaino? Quali oggetti porteresti con te? E quali mappe? A chi manderesti una cartolina?”
Io vorrei visitare il mondo. Senza zaino e senza mappe, e al diavolo le cartoline.
Una delle tesi più accreditate è che vi sia somma sapienza al mondo, che sia una gemma dentro il castone.
Ma nessuno sa cosa sia il mondo e dove si trovi, nessuno di noi viventi vi è stato destinato, per quanto talora alcuni si gettino in avanti alla ricerca di qualche crepa e la intonino a Dio, senza di fatto rivolgerglisi.
Sospetto che gli instagramers siano una nuova comunità apostolica e che le loro faccende siano in mano al capitale immaginivoro. La labilità del mondo entrato in uno specchio, che riflette un surrogato di vita.
Sopra il presente
non c’è che vita. E vita
comprende metafora,
fuoco.
Sotto, la volontà
non il passato:
numero, sommo
potere.
A terra l’aria, natura
e polvere manca
l’acqua nel cielo del futuro.
Quando arriva quel cliente – che del cliente ha mantenuto solo la formula religiosa escrementizia: “Ca ‘u Signuri ti pruteggia e ‘a Maronna ti varda!” (“Che il Signore possa proteggerti e la Madonna possa salvaguardarti!”) – e con quel segno augurale se ne riparte svuotandolo, svuotandosi e svuotandoti, tre sono le cose: ti vuole bene, gli sei indifferente, vatteneaffanculo. Non propendo per nessuna delle tre ipotesi.
Il fuoco, nutrito sulla terra, non ha un padre. È solo. Fino a che lingue a ^ non lo sputano dal cielo.
Ecco.
La vita – mentre il vento scompiglia ogni intendimento – non è forse questa strettura fra testa e vita? Un arto che non riesce a farsi presente. Troppa l’aria nelle narici e nessun potere.
Faccia al cielo, galleggiante fra le schiume e una fitta polvere che le acque ricopre.
Due son le cose che più mi colpiscono del fato. Dorme spesso supino, e guarda – come uomo dovrebbe guardare altro uomo – con occhi meteoritici. Da inizio del mondo.
Guardavo il dorso. Il titolo, il nome e il cognome. E ridevo, quando le lettere davano Angelo Rendo.
Le avanguardie son spesso baldanzose e proterve. Il lavoro, come il dolore, è un filtro attraverso cui passano i più grandi dispiaceri della storia.
In sostanza, le parole, quelle letterine là sopra nel cielo, non sono che nubi. L’ha scritto e cantato – verifico – persino Alex Britti, oltre a chissà quanti altri. Velano ciò che da sempre è manifesto.
Quanto è irrilevante, dunque, dibattersi dentro il vaso, se il sigillo – come per ogni azione non voluta – nasce e muore impresso nell’aria col suo mutevole odore.