Stavo per fare la cazzata, ah non fossi andato fino in fondo, come tendo a fare senza nemmeno tanto volerlo! Ci sono stato appresso per più di un anno, in maniera blanda, stavo per pubblicare un libro non a pagamento “totale”, ma senza anticipo (nel senso che né avrei pagato né diritti mi sarebbero spettati, nel senso che avrei ceduto gratuitamente per venti anni il mio testo, nel senso che avrei ottenuto in contropartita venti copie omaggio, e nel senso che avrei concesso all’editore la facoltà di trasferire ad altri in tutto o in parte i diritti acquisiti col contratto sottoscritto); l’intera parentesi è caduta la scorsa settimana, me l’ero trascinata sul groppone silente e remissivo per un anno, che bella testa di minchia sarei stato e quanti bei minchioni cascano in questo panaro e mi piange il cuore così accada.
Fuggire, a gambe levate, altro che. O restare fesso. Dicevo all’editore stesso e a due amici che è mortificante l’opera d’ingegno debba essere spesso e volentieri sacrificata sull’altare del prestigio – dell’arrivare chissà dove e per primi, voglio dire – o spalmata sulla vetrina fumosa della vanità.
Che pollo allo spiedo! Posseduto e leso nell’autorialità. Chiavato e spupazzato per essere letto chissà da chi e perché poi? Sarei stato.
Ora, il testo, dopo aver gozzovigliato e tremato, riposa, si era caricato inopportunamente, era stato in apprensione, sul chi va là e sul chi vive. Sta a poltrire nel cerchio dei bottai.
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