Morbi inesplorati

“Le malattie dell’intelletto sono tra le meno note, “proprio” perché oggi sono le più diffuse e generalizzate. Al nostro secolo terapeutico sfugge questo campo d’azione. In parte si tratta di malattie subdole, intrinseche, che si trascinano da millenni, ingenerate da inganni clamorosi, da malintesi su parole inoculati nel flusso delle generazioni. In parte sono malattie individuali o ambientali, che insorgono negli anni di apprendimento, per il contagio dei meccanismi dominanti dell’argomentare, per una perversione del gusto che valuta uomini e cose secondo metri indiscutibili, secondo l’opinione pubblica di coloro che si presentano come più [brillanti, moderni, distinti.] L’intelletto giovane che cade in questi ambienti, nei nostri ambienti, rimane invischiato, si impigrisce: impadronendosi di quelle formule, si sente sgravato dall’obbligo di formarsi propri giudizi, e per l’avvenire non uscirà più da quei binari, perché ormai sa già come stanno le cose.”

[Giorgio Colli, La ragione errabonda. Quaderni postumi.]

Magritte, collezione privata – di Santi Spadaro

The Human Condition

Possiamo solo prolungare
La realtà, non riprodurla
Non appendere il quadro al muro
Esci sotto la porta ad arco
che dà sulla spiaggia,
e pensa magari
mentre la sabbia filtra in basso
o chissà dove
A una palla, un tassello di mare
che vorrebbe esserlo tutto
quando poi non riesce a contenere
neanche un puntino che scivola a largo.

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Il cannone – seconda puntata

Gianluca D’Andrea – L’accumulo ereditato come valore ha condotto all’indifferenza sociale, alla perdita di altre prospettive. Il male è dentro, anche dentro la tradizione. L’educazione è il problema pressante!

Angelo Rendo – io, dicevo, ho volontà di chiedere a tutti i soldati della buona novella, dove caspitina credono di andare a parare, continuando a vellicarsi con parole passate, ingolfate, ruminate, delicate, e, continuando ad inseguire bontà, riconoscimento e militanteria, facendo, infine, del corpo lecca-lecca.

Giuseppe Cornacchia – Pasciuto è un aggettivo un po’ lontano da una certa afflittiva retorica poetica, ma non occorre molto per potercisi identificare: una cultura da scuola superiore o universitaria, un pc da un paio di centinaia di euro e una buona connessione internet sono molto più di quanto tre quarti del mondo può sognare.

Eleonora Matarrese – Se la “classe critica” dovesse essere quella che vien fuori dalle facoltà di Lettere e svolge questo mestiere con cognizione di causa va benissimo. Ma che lo faccia sul serio.

Giuseppe Cornacchia – Il Dilettante è la casalinga, l’amatore, ma anche il narratore che sfonda la sua misura e firma appelli.

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“C’è un’opera infinita che ci attende”

Intervista a Francesco Lauretta
a cura di Teresa Zuccaro

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Rubiamo (ma in fondo non è affatto un furto, lo vedrete) un po’ dello spazio che Nabanassar dedica solitamente alla poesia per fare un’ incursione fra le arti figurative, dato che abbiamo avuto la fortuna di poter fare qualche domanda ad uno degli artisti più interessanti dell’attuale scena italiana. Ecco dunque le domande e le risposte.


Pensando ad alcune delle tue ultime mostre, mi sembra di intravedere uno spostamento dell’attenzione da momenti e occasioni corali – Le Metafisiche – a riflessioni su categorie e gruppi – il ruolo dell’artista in Non saremo noi – fino ad arrivare a una dimensione forse più personale, quella di storie singole che si sfiorano in uno spazio catalizzatore nel progetto attualmente in lavorazione che si intitolerà, se è lecito dare una piccolissima anticipazione, Privato. E’ così? C’è un filo conduttore, un percorso che lega questi diversi momenti?


C’è una vita che significativamente si aggira intorno a questi titoli e c’è un coro che non sempre si vede, ma del quale si intuisce la presenza e, se non sempre questo coro è visibile, è riconducibile a cose vive seppur non necessariamente è composto di cose vive. Lavoro e m’impasto da sempre con qualcosa che io individuo come una presenza, necessaria perché m’avvisa della mia singolarità spesso provata da un quotidiano che fatico a comprendere e ad abbracciare, e pertanto questo fare, l’affannarmi intorno ai linguaggi, mi disorienta verso un immaginario che ringrazio e del quale godo come sontuosamente visibile, responsabile, perché mentre rispondo sto leggendo “Che ne sarebbe di noi, dunque, senza l’aiuto di quel che non esiste?” – è Paul Valéry che scopro ad inizio dell’ultima fatica di Tommaso Pincio, Gli alieni; perché mentre rispondo alle mie spalle c’è una casa che inizia a comporsi nel suo mito, una strada blu che proprio ieri credevo di avere sognato e che realmente vedo nelle foto che ho ritirato giusto ieri, foto che ancora realizzo intorno a questa casa ormai da sette anni, quasi. Sette anni fa avevo appena inaugurato Ceci n’est pas une pipe. Dopo, Matrimia, Via degli astronauti e così via fino a Privato che spero di risolvere in fretta anche perché sono curioso di quanto ancora mi manca.
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Il medico onesto

Variazioni sullo psicofarmaco

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Non pensate a questo né a quello
Ragazzi, su, andiamo, non pensate
Ad esempio questa sia una poesia

Ragazzi, fuggite, lo sapete,
Chi vi vuole amico e poi vi scarica
Tutto è nelle vostre mani

Consueta sia non la poesia o meglio

Tenete lontano chi è piccolo
Minimo e piccolo piccolo.

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Judy Swann reads Sharon Olds

Hanging In with Sharon Olds

At the beginning of the last century, when poets decided they’d had enough of the Edwardians, the classical canon, and formalism, modernism was born. It was an anti-movement. In the course of the 20th century, greater and greater liberties were taken with the new “free verse” until almost any well-written thing qualified as a poetic genre: manifestos, diary-entries, zaum (“transreason”), tone poems, L-A-N-G-U-A-G-E poetry, and so on. Poetry was energized, engaging, masculine. So when we consider Sharon Olds, Poet Laureate for the State of New York 1998-2000, we are angry when her award-winning, accessible, witty, and plainly crafted poems about family life and erotic pleasure are decried by critics as “programmatically unfeminine sexual bravado.”

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Ingegnere – omaggio a Pasquale Giannino

Ho vissuto dieci anni in nero e mi passavano per dio, ladri, ladri su ladri che svenavano il coglione, tu padrone io coglione, tu calabro mafioso, tu pisano supponente, tu barone incarognito, tu puttana e io coglione, io coglione, io coglione. Baden Baden, Dachau dell’intelligenza, il palazzo della Normale sempre lindo e, dietro, la mensa piena di pidocchi, povera gente di Sicilia, Sardegna, Calabria, Puglia, Molise, Campania, coglioni, puttane, drogati, mafiosi, ingenui, arabi terroristi, organizzatori di partite di calcetto, ciclisti, veri studenti, credenti, rappresentanti degli studenti, rappresentanti dei rappresentanti degli studenti, ladri di biciclette, ladri di motorini, ladri di computer e cellulari, ipermercati, negozi col pane a dieci mila, ragazzotte in cerca di marito, ragazzotte in cerca di, ragazzotte, ragazzine, suore, chiese, chiese, chiese, chiostri, cinema, cineforum, cineclub, drogati, pure un assassino, dopolavoro ferroviario. Ecco, ho conosciuto gente seria al dlf! Ciao Nelusco, ciao Norina, vedete cosa sono diventato? Ero bravo al pallone e bravo con la rima. Ciao.

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