“Le malattie dell’intelletto sono tra le meno note, “proprio” perché oggi sono le più diffuse e generalizzate. Al nostro secolo terapeutico sfugge questo campo d’azione. In parte si tratta di malattie subdole, intrinseche, che si trascinano da millenni, ingenerate da inganni clamorosi, da malintesi su parole inoculati nel flusso delle generazioni. In parte sono malattie individuali o ambientali, che insorgono negli anni di apprendimento, per il contagio dei meccanismi dominanti dell’argomentare, per una perversione del gusto che valuta uomini e cose secondo metri indiscutibili, secondo l’opinione pubblica di coloro che si presentano come più [brillanti, moderni, distinti.] L’intelletto giovane che cade in questi ambienti, nei nostri ambienti, rimane invischiato, si impigrisce: impadronendosi di quelle formule, si sente sgravato dall’obbligo di formarsi propri giudizi, e per l’avvenire non uscirà più da quei binari, perché ormai sa già come stanno le cose.”
[Giorgio Colli, La ragione errabonda. Quaderni postumi.]