Il saggio e l’aneddoto – Angelo Rendo

Uno, non c’è dubbio che non sia uno prima di diventarlo. E non c’è vero che non sia dubbio quando è niente di che.
Il saggio e l’aneddoto sono fratelli germani. Del secondo non si sa nulla, ed è un piacere metterlo in luce; del primo si tastano testa e coda. Un piccolo insieme, finemente intrecciato e mandato in orbita.

Nonno e Nnonnu – Angelo Rendo

Nell’epoca della posgrammatica potrai persino perdere la parola, e mantenere solo la lettera.
Lo credevo ieri sera, invitato a riflettere sull’etimologia di ‘nnonnu’.
Il nonno rappresentava due cose nelle nostre tribù: la parola autorevole e indiscussa, santa e venerabile, ma anche la fica. Ora, potremmo pure dar per buono l’etimo gr. Nónnos, santo. Ma in epoca di mercimonio e posgrammatica la violenza, lo stupro sono sempre più in agguato. Quindi ‘nnonnu’ con la nasale rinforzata in regime di eufonia non sarebbe altro che il coño spagnolo, cunnus latino, quella parte cava e penetrabile. Che in effetti santa e recintata è. Come il cervello.

FILOLOGIA E SARTORIA – Angelo Rendo

Nei banchi di mezzo, dove non c’era più nessuno, sedevo; tutti i normalisti stavano in prima fila, tranne qualcuno – poco interessato alla filologia, a Palazzo Quaratesi, in quella assai capiente aula – sotto il mio banco. E poggiavo sulla sedia vuota accanto il montone.

Vincenzo Di Benedetto, sommo grecista calabrese, arrivava accompagnato dal fido scudiero, quelle due volte a settimana in cui teneva lezione.

Aveva bisogno di conforto, il professore, di attenzioni, e cura. Io non sapevo. Dopo aver ricevuto dal Lami le rassicurazioni del caso, finalmente, toglieva il pastrano e prendeva il microfono; la vocina restava flebile e perduta, ignota. Lui lento, rigido e tremulo, minato dall’ideologia. I suoi occhi laminavano dietro lenti nere, cupe, lontani. Rincorreva se stesso nei segni alfabetici, nelle corrispondenze, e formularità – il corso era su Omero – parlava piano, non era tra noi, ma sperso dentro la lavagna, nei regesti, nei dizionari, negli elenchi.
Ricordo l’esame, bisognava aggrapparsi alla memoria, ed esibire le tessere del mosaico dell’intertestualità.

Molto sconnesso nell’eloquio, forse perché già malato, conduceva la sua battaglia contro la teoria oralistica. L’opera di Omero presuppone un impianto scritturale, sosteneva, riscontri intratestuali e trama organica starebbero a dimostrarlo. Omero era un autore col suo laboratorio, insomma.

Nei saggi del Di Benedetto il pensiero discorsivo diventava ossessivo, affilato; alla claudicanza vocale si sostituiva un incedere nervoso e assertivo.

La sapienza compositiva dei poemi omerici lo induceva a credere alla loro lenta macerazione scritturale contro i sostenitori dei tempi veloci di composizione.
Il sarto ha un disegno unico, trama e ordito ragioni che il cuore non ha.

GIOVANNI PASCOLI, O DEL DEPENSAMENTO – ANGELO RENDO

Stamattina, sul lungomare di Donnalucata, al mercato delle pulci, ho scovato le ‘Poesie’ di Giovanni Pascoli nell’edizione Arnoldo Mondadori del 1951. Si tratta di un volume di 1600 pagine, che misura 20×14 cm, ed ha taglio superiore delle pagine celeste. Presenta fioriture all’interno e nel taglio laterale. Tuttavia mantiene, a sessantasette anni di distanza, intatta la struttura, e in discreto stato la sovraccoperta.

Ho ripreso a leggerlo a distanza di venti anni e più. E non penso, depenso – è il classico a porti nel depensamento – leggo a perdifiato, irretito da musicalità e tremendo pathos. È un suono cilestrino, rustico ed alieno a pensare se stesso e il poeta a implodere schiudendosi. Non esiste poesia più onnicomprensiva di quella lirico-elegiaca. Induce al pianto il lettore, lo mette dinanzi al corpo nudo poetico, e al simbolo, che tracima dal canale cortese per celarsi negli abissi della poesia pura. Elettrica.

I lamentosi – Angelo Rendo

Che noia i lamentosi, quelli che hanno dichiarato e/o scritto – chiusi in non so che luogo – ‘non ricordo quando è stato che siamo andati oltre e quanto ci vorrà perché in un sol colpo tutti comprendano che tutto tranne il tempo conta’. Sono tanti, e parrebbero proprio parlare in nome dei molti che invece sono felici – a sentirli bene.

Promotori del caos – Angelo Rendo

Chi si fa avvocato non ama la legge, ne ama le perdite, gli scolatoi, il foro in cui s’attaccano le purulenze commatiche. Se eserciterà nell’alto rango, non varrà nulla la sua parola, a meno che non lo perda, il rango, o produca senza che nessuno lo sappia.

Spesso ha occhio volpino e stretto, che più ancora e ancora si stringe e aguzza quando inizia, sornione, a provare le resistenze, i cardini cigolanti del mondo che gli si sveste.