

Mi trovo tra le mani una antologia di testi dal titolo “Cento Sicilie. Testimonianze per un ritratto”, a suo tempo (1993) curata a quattro mani da Gesualdo Bufalino e Nunzio Zago per “La Nuova Italia”.
Siamo nell’ambito del mondano, delle celebrazioni, delle sicilitudini, tuttora operanti e vegete. Testimonianza di avviticchiamenti fuori tempo massimo, e della perpetuazione.
Dinanzi ad operazioni del genere, o di genere – si può ben dire – , che, inconsapevolmente -nemmeno tanto, a ben vedere -, aggiornando piuttosto vanità e autocompiacimenti, dissimulando paure, riducono la terra da universale a macchietta, non bisogna restare inerti, o stupidamente acconsenzienti.
Battere, a piede sospinto, il tasto della riconoscibilità, della immota pietra gorgonica è civetteria. Che ottiene risultato di segno opposto: il lamento intorno a una condizione.
Fatalismo e remissività, gioco sulla inesistenza. Meglio sarebbe proclamarla, la benedetta inesistenza, invece di passarsela da mano a mano, esultanti.
Tra l’altro, l’antologia sarebbe rivolta o sarebbe stata rivolta e notificata a un pubblico di scuola media superiore. Niente di peggio che frenare sviluppi, incardinare a miti stantii e naftalinici, buoni a innescare attese e pretese.
Chi, oggi, non riesca a fare a meno di un propagandistico canale identitario, opera, di troppa e rovinosa e frenante memoria, non solo contro l’integrazione, ma soprattutto contro la libertà, che, prima di essere in terra, deve annusarsi nell’aria.
Felice Cacafoco, 17/07/2005, concede a www.nabanassar.com
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