PIÙ CERVELLO – Angelo Rendo

Quando si è poco o nulla corrotti dalle naturali e proterve infamie del tempo, l’orecchio diventa più grande, e le parole altrui affluiscono copiose, o esso stesso si stacca e cade nel punto in cui sente ghiotto l’argomento.

Un uomo anziano, un settantenne, più o meno, deciso affermava – rivolgendosi stretto a un altro uomo, poco più grande – che, se il creatore gli avesse chiesto cosa avrebbe desiderato in un’altra vita, lui avrebbe risposto senza esitazione: “Più cervello”. Di portare una testa tanta quanto la minchia tanta di Frank Zappa.

Eravamo lungo una via principale, e non c’era verso di arrancare con lo stupore dei poeti. Più cervello è un sottile modulo di ingresso nell’alfaomega dei primi alfabeti, nelle risacche del nonsenso, dentro un canto demonico, che più di fuoco fa il dio meno appare discorso umano.

Salute e baci – Angelo Rendo

Come bisognerebbe smarcarsi dagli stilemi, o dagli infetti mitologemi – e non perché sia disonorevole stringerli al petto, placcarli, è solo una questione di affetto, o di soglie – spie che sporcano il foglio, un’opera, o uno scambio di opinione, così bisognerebbe anche scordarsi di emettere verdetti, o di servirsi di un punto di vista. A cosa ci si prepara, quando ci si esprime? Chi lo fa, di solito, prova a dar forma al governo delle volontà: a resistere e sistemare la propria parola in un mondo vorace!
Ma poi, come entra nel giro un innovatore? Non entra certamente chi si fa la corte. E non entra l’innovatore, nemmanco lui. Come può pensare di arrivare a redimere tutto il tempo ben impiegato chi non lo perse nel momento opportuno? E da cosa dipende creare attese, confermarle, o, infine, affondarle?

Demiurgia – Angelo Rendo

Dispongo di parole illeggibili. Le tiro fuori dalle nocche di mezzo della mano destra, fino a che quelle estreme della sinistra non giungono rabbiose e di soprassalto a sfondare la diga demiurgica.

Eccone una, ad esempio, grassa e nuda, seduta sotto un masso, custodito da due piccole pietre, le quali inducono al sonno un’altra parola, matura e grondante sudore. Questa è, nella parte bassa del palmo, difesa da scarti acuminati e preziosi di ossa, nella punta delle dita da lisce pietre in stato di quiete.

La prima saluta le seconde – tutte intente nella guardiania – l’altra è catturata da una sottile e ostinata polvere.

Ognuna di loro bisogna che scenda dall’alto verso il basso su un piano inclinato.

Nomen nescio – Angelo Rendo

Di tutti gli stili, dei quali non si può dire nulla, mai indagarli, ve n’è uno a cui non tenteremo di dare nome, come del resto sarebbe giusto fare per l’insieme degli stili che già nome hanno, quantunque quelli che sembrino averne uno, nei fatti ne mancano. Resiste soltanto una eventualità di stile. Quel che può accadere – per un leggero sommovimento della crosta, una impollinazione innaturale – non potendo essere previsto, riduce la possibilità che da una solida e dura zolla nasca vita. Un alito fetido promana dalle chiuse regioni della presunzione, laddove lo stile non giungerà mai. Presunzione di stile è atto notorio di fine.

‘RSINICHIETTI – Angelo Rendo

Quando, pago di una serata come tante, chiudi con un bicchierino – non di alcolici sfacciati, piuttosto timidi, riservati rum, o brandy o whisky – e a rivolgerti quel bell’augurio (“Arsinichietti!”) potrebbe darsi che sia chi scambia ricerca per dipendenza. O chi forse solo intende dire Fai come vuoi, ma bada a non finirlo tutto, lasciane anche per me. O chi nemmeno sa da dove provenga e cosa sia la gradazione. Arsènicati! Fatti di arsenico, avvelenati.

Dividualismo – Angelo Rendo

Anche perché poi c’è, immancabile, il dividuo che campa di memoria, o che sa come ci si debba comportare, o cosa leggere, quale posizione politica tenere. Che gli altri non dicano di non saperne nulla. Nulla delle remore, o dell’ordine. Nulla del disordine che comporta – a detta dei dividui – non essere alla loro altezza da tarda intellettualità. Ma come fate a non saper nulla di quello, o di quella, o di quel pezzo di muro, o di quell’albo signanda lapillo? Mi disgustate. E chi nero si fa, e così dice, è un amante del bello, del giusto. Ha gusto. Ché ormai è facile girarsi a manca e trovare un muso storto, a dritta e trovarne uno gonfio. Poi l’esplosione. Sempre tra le mani, basta metterle l’una sopra l’altra, e tutto scompare.

DUE MARI – Angelo Rendo

A Marzamemi e a Portopalo di Capo Passero il mare è voluto bene. Gli uomini gli si stringono attorno con ogni mezzo. Lo cullano, e ne prendono il colore, sempre vivo, eterno; e salsa è l’aria. È il mar Ionio, addomesticato e colonizzato.
Le marine siciliane del Mediterraneo, dalla Marza fino a Gela, invece, sembrano nemmeno vederlo il mare. Non lo trattengono, non lo avvolgono; sono terre che non si bagnano, che né avanzano né si lasciano invadere.
Pigro fa il suo lavoro, qui, il mare, la sua parte, ma mare non è. E odore non ha.
È una distesa immota, liscia davanti a coste erose, sabbiose, lenta, non guarda né è guardata.
I mediterranei lo temono, amico nemico e grande, troppo aperto mare, Mediterraneo, che babbo pare.

Congruità – Angelo Rendo

La nozione di “congruità” parte dall’alto, e non può sovrapporsi senza rischio alle necessità del caso. Che sono sempre incongrue al processo di imitazione.

L’aggettivo ‘congruo’ ha preso a perseguitarmi ieri sera, mentre rispondevo a una ragazza che aveva scelto un periodo alquanto petroso, e l’aveva fatto suo senza rendersi conto che la parola non è mai un’occasione a buon mercato. Allora, ho dovuto riprenderla, e dirle che, appunto, non era congruo il suo investimento rispetto al testo che aveva davanti.
Poi, ‘congruo’ è ritornato, terrifico, nella corrispondenza dei fratelli Weil, con André completamente fuori misura, stonato, e incongrua Simone nei riguardi del fratello.

Una forza premeva verso Gondi, l’altra verso Galiani con la supervisione di Nietzsche. Quest’ultimo dalla prima aborrito, dal secondo condotto a ragione.

Napoli non ha prodotto che “vili intriganti” come politici scrive la Weil, il Weil carica sottolineando quanto contorta sia la mente del meridionale. (Altra cosa i fiorentini col loro “spirito semplice e grande”.)
Solo l’abate napoletano Galiani – più profondo di Voltaire, quindi meno loquace, l’uomo più profondo, più acuto e più sporco del suo secolo scriveva Nietzsche e assentisce André – si salva.

Nelle corrispondenze – come nelle chat – ci si lascia andare al pettegolezzo, diventando incongrui all’arte e alla scienza. Troppa umana cosa. E come tale congrua alla mimesi del razzismo.