Bocche aperte – Angelo Rendo

L’argomento insondabile, nei più disparati testi di cura della divinità, ha un’evidenza plurima: non c’è.

Il profetismo testimonia se stesso per finire dalla parte sottile, senza che possa essere effettuata la traslazione scritturale.

È una grande fortuna ci siano le bocche aperte.

MITRA – Angelo Rendo

MITRA

Nel molle pomeriggio di oggi,
Mitra aveva
sul sedile anteriore come passeggero
un coltello lama 20 con manico giallo.
Che riposava su un fianco, sprizzando
luce, disinibito.

Ho arretrato il mento e strabuzzato gli occhi,
ma niente ho detto. Gli ho dato il gas
benedetto.

Non sai mai
cosa possa passare
per la testa di un pezzo di pane.

Mitra sa che non è possibile
dare un passaggio a un coltello,
o averlo
per amico alla luce del sole,
per quanto s’abbia un buon cuore.

O non lo sa.

Che è poi la stessa cosa
che credersi un poeta essendolo,
o non credersi poeta essendolo.

Un fenomeno ricorsivo
che taglia in due
inizio e fine del viaggio.

MITRA – Angelo Rendo

Nel molle pomeriggio di oggi, Mitra aveva sul sedile anteriore come passeggero un coltello lama 20 cm con manico giallo. Che riposava su un fianco, sprizzando luce, disinibito.

Ho arretrato il mento e strabuzzato gli occhi, ma niente ho detto. Gli ho dato il gas benedetto. Non sai mai cosa possa passare per la testa di un pezzo di pane.

Mitra sa che non è possibile dare un passaggio a un coltello, o averlo per amico alla luce del sole, per quanto si abbia un buon cuore. O non lo sa.
Che è poi la stessa cosa che credersi un poeta essendolo, o non credersi poeta essendolo.
Un fenomeno ricorsivo che taglia in due inizio e fine del viaggio.

ATENE MANCA – Angelo Rendo

Il nero, vuoto e montuoso Peloponneso è ad una stretta di mano da Catania. Dall’alto, è una casa del cielo.
Un’ora e dieci per l’Attica. Atene. E il fondo, silenzio, nel lindo sottopasso del Venizelos a Spata.

Atene, ano d’Europa, e Grecia – panno usato e scosso da irresistibili venti occidentali – che teme, che desidera le coste turche, contro le quali impatterà, mentre le isole Egee, sconvolte da un ciclone indomabile, tentano di frenarne lo schianto, a guardar bene carta e forme.

Più l’occidente s’avvicina, meno si compattano le terre, e più l’oriente scarica le colpe al mezzo.

Rimane la rovina, la superba decadenza, l’angusto sentiero dell’abisso metafisico dentro quei volti strizzati e composti. La metro è un grande banco di prova, aiuta. Presa all’arrivo e mai più lasciata. Nessuna lingua straniera nelle viscere della terra. Gli Ateniesi covano il lutto. E da siciliano prendere parte all’ininterrotta processione dei treni è stato naturale.

Lo sguardo non è libero di vagare, come nei paesi dell’Europa del nord, ma deve dar conto all’umanità circostante. È per questo che non c’è più spazio. Atene manca. Secoli e secoli di esistenza non possono che condurre dritti alla tomba. Il tempo non batte più, come del resto se ne sbatte dell’Italia, il tempo.

Atene manca mi diceva Adriana. Certo, mi son detto, manca della morte, che la regalità sta apprestando per l’immondo futuro, o per il mondo futuro, abiotico.

IL POPOLO DI COLORO CHE SI RIPARANO GLI OCCHI CON GLI OCCHIALI DA SOLE – Angelo Rendo

Il popolo di coloro che si riparano gli occhi con gli occhiali da sole vita natural durante è destinato a gonfiarsi a dismisura.
Un occhio esposto è un occhio offeso. Perso. Schermato, invece, regola entrate nel e uscite dal cuore.
Conosco un uomo che li indossa pure la notte, a letto. Non può vedere nessuno.

UN’ADORABILE PROPENSIONE ALLA VITA – Angelo Rendo

(Iscrizione ellenistica su pietra calcarea, Antiquarium, Teatro greco-romano di Taormina)

Si tratta di un altare, dedicato a Hestia da Karneades, sua moglie Pythias e dalla figlia Eraso, presso il tempio di Serapide, scoperto nel 1861 all’interno della Chiesa di San Pancrazio a Taormina.

Il testo: “Accanto a queste mura di Serapide, il guardiano del tempio Karneades di Barca, figlio di Eukritos, la sua sposa Pythias e sua figlia Eraso hanno eretto a Hestia un altare; come ricompensa per questo, o tu che governi le meravigliose dimore di Zeus, concedi loro un’adorabile propensione alla vita”.

***
La chiusa finale, letteralmente tradotta, verrebbe: “possano loro avere sempre una vita felice e prospera.”
Ma quanto meravigliosa ed emozionante iunctura (“un’adorabile propensione alla vita”) ha tratto fuori da quel blocco di pietra l’anonimo traduttore facebookiano.

La traduzione è chiaramente forzata. Ma pendere avanti, rimanere sospesi tra la certezza di esser vivi e il dubbio di non esserlo, quasi sentirne il nodo alla gola, non possono che rendere degna di adorazione l’attitudine alla sospensione, alla inclinazione, all’intenzione di onorarla, la vita. Mettere in mani umane ciò che è del divino e ad esso è stato tolto.

Joker, o della fine – Angelo Rendo

Cosa aspettarsi, se non momenti di febbrile eccitazione e gaudio per gli occhi, o picchi di euforia, dalla visione di questo show.

Ché certamente “Joker” scatena la forma filmica per l’impressionante massa visiva e organica rivoltata e rivoltante, ma cessa di ogni interesse quando il sogno della rivoluzione viene travolto dal comico, impaniato in una didascalica lotta fra bene e male.

In sostanza, Joker contiene una pulsione reazionaria, che ristà nel fumetto, quanto più sembra avanzare; con tutto quel fragore Phillips ha depotenziato la carica sottile dello svelamento, e certificato la fine.

LA VERITÀ È UNA MENZOGNA – Angelo Rendo

Quel tratto interrotto non può che far fede di un ininterrotto ruminio di malsanìa. Quantunque le cesure caratterizzino i nostri paesaggi interiori, rinfocolare il vuoto porta all’essere, la più grande menzogna del senso.

Quel fuoco divampa, dimentico di sé, ai piedi della verità, mamma di tutti i figli, mai unica, ma a pezzi, regale.

ASPETTANDO IL MIO TURNO AL GABINETTO – Angelo Rendo

Aspettavo. Aspetto
che non avvenga nulla che non sia
già arrivato e dove sono?

Quando libereremo il pensiero
dalle grinfie degli avvoltoi quando
ogni poeta aspetterà la sua fine?

Per dire io
non l’ho mai conosciuto mai
me l’hanno presentato.

Nel gabinetto
di un ristorante del paese

pensieroso e altero,
alto quanto me. Più cattivo

della sua opera.

Entravo. Usciva.