Quell’uomo
curato che vidi
sfrecciare e virare
lesto a destra per il bar, con tutti
e due i piedi su un solo pedale
ritto
vecchio cetriolo sopra una bici.
E a distanza la moglie:
fiacca, ingobbita, biondosfibrata.
Quell’uomo
curato che vidi
sfrecciare e virare
lesto a destra per il bar, con tutti
e due i piedi su un solo pedale
ritto
vecchio cetriolo sopra una bici.
E a distanza la moglie:
fiacca, ingobbita, biondosfibrata.
Le inesistenze di Francesco Lauretta non vanno trattate. Sono intermittenze dell’occhio. Due scalini, poi altri due; quindi si ritorna da dove si è venuti. Così ha fatto il mio occhio, entrando e uscendo più volte, annusando, toccando, svelando e coprendo, come se potesse mai avere avuto arti prensili e sensi; quasi pronto per vedere.
La sua prima sortita dalla galleria sarà avvenuta intorno alle 18:30 del 28 maggio. L’occhio è rimasto un bel po’ davanti all’ingresso, in via della Vetrina, di fronte al banchetto inaugurale provvisto di vino, focaccia e mortadella; ha vissuto il suo tempo morto e vagheggiato l’interno. D’un tratto, ha benevolmente incrociato un arzillo Achille Bonito Oliva, che, mirando dritto al cibo, ha esclamato fuoriuscendo decreato: “Meglio che niente!”. Aveva compiuto una veloce visita e dell’inesistenza non aveva colto che l’esistenza della mortadella.
L’azzardo del nascondimento, della dormienza d’oro, il pulsare del rosso sangue al centro, la creazione decreata dall’immagine stanca e pervertita del pixel, la bara che risuona nel campo santo dove non resta che polvere vivono nel percorso di questo pittore indomabile.
La parola scritta un secondo
prima era tutta senso
poi è diventata
diversa da me
non riconosciuta.
Stammi lontana se vuoi
che io sia.