Il passo lento della sera – Angelo Rendo

Quando uno scrittore non si vede più, è stato abbandonato. Si è ritirato. Così si dice. 

Si crede, cioè, ci sia un campo, che qualcuno lo lavori. E che qualcuno, nullafacente, lo abbandoni. Bene. Chi lo solca, non osa abbandonare; chi lo scava di notte a notte, prepara le fosse per chi lo lascerà. Chi non lo sente e non lo vede, fa un altro lavoro.

Scrivo tutto ciò a margine di quella lunga linea che, partendo dal basso, finisce nel ghigno temperamentale e collettivo e mostruoso dell’intellettuale, poco poco più a destra o a sinistra dal punto da cui è partita.

Dio ci liberi dalle scuole di scrittura, dai generi, dalle interpretazioni del vivente, dal passo lento della sera.

Andiamo a pompare – Angelo Rendo

​Fra tutti gli stati che sfuggono al controllo –  come di ogni vecchiaia che si rispetti – non c’è dubbio che i ‘tormentoni’ siano funzionali alla conservazione di ogni diasistema. Così, se scrivo quel che scriverò, non appena darò fine a questo post, vedrete che sono al mio posto.

Andiamo a pompare.

L’alloro – Angelo Rendo

Un nugoletto assai sguaiato di individui dall’accento comisano nel piazzale, sotto il balcone, alle 15:00, attende da mezz’ora altri simili. Quando, finalmente e fortunatamente, i ritardatari arrivano, uno del gruppo – che aveva fatto il tempo – svetta sul già greve vociare degli altri con un ottonario aureo : “Chi ti manciasti ‘nu squalu?” – per il nuovo arrivato. Meritava l’alloro. Ma è chiuso, essiccato in una boccetta, perfido lenitivo.

Lo stitico e il prodigo – Angelo Rendo

Lo stitico parla poco e ascolta assai, mangia tanto senza accorgersene. Si guarda. Stipa i sentimenti nel canto largo di una lussuria segreta. Teme, ha sussulti al cuore. Giustifica ogni azione soppesando parole e ragioni. Quando caca si dispera, ignora che il cesso non sente ragioni.

Il prodigo, invece, lascia che la mandria vada avanti. Cerca il male e non lo trova. Non fa caso né testo, ultimamente non è in giro, s’è stancato. A fuoco! Non provava più piacere. ‘Che facessero le zecche tutti i computatori. Puh!’ – stizzoso allo stitico seduto e pensieroso.

The Buckingam Palace -Angelo Rendo

Per una foto a uno stuolo di reginette, paggi e principini e principessine, tutte vestite di blu, elettriche, con coroncine in capo e trine, uniformi e spadine al fianco gli ometti, per una foto ho pagato; e dire che sarebbe bastato solo stare a guardare il raso luccicante dei loro abiti, pareva stessero per prendere il volo quei fantasmi su quel terrazzo reale; invece il mio maledetto scatto li ha materializzati, temo – visto il loro avanzare in corsa scomposto e spensierato – sarebbero caduti giù dal parapetto, non avessi ritenuto opportuno subire un fermo di sette giorni a Londra. Uno scalone maestoso, l’interrogatorio e il pianto, seduto a un tavolo povero in un corridoio tremendo del Palace. Una stupidaggine. Poi mi hanno lasciato andare, a piede libero, con l’obbligo di presentarmi al comando, non so dopo quanto; le guardie e l’ispettore se la ridevano e sminuivano l’accaduto. Io intanto piangevo. Ma non avevo visto alcun divieto, tanto che prima di sparare la foto, mi ero meravigliato della mia permanenza solitaria in quel luogo, la mia avrebbe potuto anche essere un’arma. Come riuscii a passare inosservato non so, capii però che non l’avrei sfangata proprio quando catturai quel volo. E al lavoro, ieri, per vedere come mi sarebbe finita, sono arrivato con 20 minuti di ritardo.

L’imene della dissimulazione – Angelo Rendo

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[Francesco Lauretta, Femminile, 2006]

Ieri Chiara e Gianfranco si sono sposati. Nella Chiesa di Santa Maria di Betlem a Modica. Qui la secentesca ‘Dormitio Mariae’, statua lignea di Bongiovanni Vaccaro – trasposta e dipinta su tela dieci anni fa superbamente da Francesco Lauretta e titolata ‘Femminile’ – ci ha destati dal torpore. A furia di darle l’occhio l’ho spinta più in là, a un passo dal sonno eterno. Ho gioito per un carissimo amico, col quale ho trascorso tanti momenti spensierati dell’adolescenza. Gianfranco è rimasto a quei tempi, come me. Ci si vede poco, ma ogni volta le trame del discorso si riannodano, per via di quell’arguzia dinamitarda e dolce che è del sogno, l’imene della dissimulazione, quel far finta che la Vergine dorma.

Campo di forze – Angelo Rendo

Chi crede di essere consustanziale all’eterno cammina col passo bacato dall’orgoglio. Ha voce fangosa e un nido di api al collo.

L’occhio che disintegra l’umano non aspetta il tempo ipocrita della scaltrezza.

Abbiamo visto poco, ci siamo fermati all’inferno.

La notte di Benedetti Michelangeli non finisce mai, aperta com’è sul campo di forza dell’oblio, la memoria autentica.

La metamorfosi incombe su chi non vede le proprie ragioni.