Per un gruppo Whatsapp – Angelo Rendo

Cerchiamo di agguantare le forme morenti, ché l’immanenza preme meno sulle mammelle della storia.

Per dove entra quel soffio divide la testa in due parti: la prima nega, la seconda afferma di non negare la terza nascitura.

Non c’è una dimensione capace di garantire una incorruttibile modernità a una forma piena, eccetto che l’urto del silenzio che bracca la parola.

La letterarietà che attraversa un gruppo Whatsapp dimostra che l’attenzione si guadagna per stanchezza e che lo stitico dura il tempo aperto della festa. Alla teoria si concede la fossa.

Il regno pedestre – Angelo Rendo

IL REGNO PEDESTRE

Lo scrittore è un individuo ridotto a filo, o a bava; e il primo dei molti fori per cui dovrà passare, di norma otturato dalle croste della tradizione letteraria, dal suo sangue rappreso, conduce al regno pedestre.

Lo vedo che tenta scomposto di riannodare le fila con questo e con quello. Lo vedo. Tradirsi coi rigurgiti dell’intelletto vestito a mo’ di scorreggia profonda, lontana, sofferta. Facile a guadagnarsi il vomitorium, l’ordine di affiliazione, la divisa.

Quanto più una pietanza è elaborata, tanto più s’introna; potrà essere inghiottita di malamore, a nodo in gola, o sputata nel fazzoletto, o sfarsi in poderoso scoppio di risa e saliva.

Folte schiere di armenti fanno segno con le loro zampe valghe che cruda, intatta appare la poesia.

La poesia scioglie
la poesia. Non posa
né pietra. Tira, lega.

Se perdi la presenza, diventi un ipocrita. Hai i denti rotti, le borse agli occhi; e ancora pensi ai tuoi maggiori, alle tue fonti, ai tuoi padri, allo stuolo tutto di scrittori. Che possano scagionarti pensi.

Il germe dell’immortalità – Angelo Rendo

È venuto a trovarmi; convinto io gli abbia beneficato il figlio. Ci scambiamo una stretta di mano.

Nel frattempo, non ci sarà nulla da dire, penso. Mi illudo che al nulla debba esser concesso lo spazio che comunemente è della lode. Magnificarlo, poi, cos’altro sarebbe se non gentilezza?

Il vecchio uomo, invece, trasferisce lesto le sue maliziose parole in quell’androne molto trafficato. Lì vorrebbe trattenermi.

Me ne esco. Riflettendo ad alta voce sul germe dell’immortalità, il peggiore.

L’uomo, vecchio, appunto, ma tenero d’intendimento, mi ascolta. Rimane zitto, saluta e se ne va. Come nei sogni i morti.

Il triste virtuoso – Angelo Rendo

Chi ama la virtù si sforza di essere sempre un passo oltre rispetto alla linea inoltrepassabile. Prima di ogni altra opera, filtra. Al centro, gonfia i polmoni e fa sottile la voce, fa che sparisca.

Come punto da un tafano, ha molta cura e circospezione, non gli mancano l’ardore, i bollori e l’appetito fuori dal comune; insegue la virtù, non la lascia per corto, la tallona, la blandisce. Sollecito, pieno di scrupoli, non arretra dinanzi alla costa, la invade col suo animo fintamente delicato. Fallo per lei gli grida in testa una vocina assai zelante. Spinto ad atti emulativi, esibisce la sua lucente vanità sul palco abusato del buon nome.

Nel dente del piastrone – Angelo Rendo

La porta rivelava un fondo. Il formato dell’una e dell’altro variavano sulla base delle lettere contenute nel dente del piastrone.

L’inizio attraversa un rifiuto, e rischia di esserne alimentato. A distanza di sicurezza dall’oggetto e dalla sua sostanza il giorno continua sulla terra la processione.

Il tempo che passa non può essere èdito. È un colpo di mano ad ammalarlo.

L’eccessivo è superficiale, riempie i suoi piani di fato, conta le dita partendo da sé, canta in parrocchia.

La Cina come catafora – Angelo Rendo

Che i nostri testi, le nostre immagini siano in balia dell’altrui volontà ci induca alla atarassia. Parola velenosa e sgraziata. Stonata. O a uno stato di ignoranza preliminare e definitiva, quel non sapere quando e se entrare o dire ciò che non andrebbe detto. Scrivere.

La proprietà intellettuale è solo un incidente di percorso. E a ben vedere l’imitazione non è altro che una forma di cannibalismo. La Cina che imita o contraffà cannibalizza per esempio lo stile, la firma, il marchio. La fame è fame.

Lavoro, identità e cittadinanza – Angelo Rendo

Un individuo che non sa più dove sta di casa, ne cerca una. In tanti non ne hanno più una. I pochi che ce l’hanno, e bella bella, parlano di cittadinanza, si infervorano, sanno. Chi non ce l’ha, di identità. Quando, però, l’identità diventa una ossessione, il vincolo democratico è rotto. Tanti piccoli io soli e lontani, ghermiti dal ratto della tolleranza.
Se pensiamo che tutto debba essere conosciuto, senza tenere in conto le reali ubbie del quotidiano, pronta è la via dispotica. A colpi d’identità si innalza il muro della distinzione. Ma la durata è nel solido, nell’indistinzione. E al centro c’è il lavoro, a cui tutti siamo chiamati, nessuno escluso.
Lavoro: parola nobile che disintermedia le sue più scontate connotazioni. Tutti chiedono diritti, ma l’inclusività passa per il dovere. Il dovere dell’uguaglianza.

Essere all’altezza – Angelo Rendo

Non è possibile trattare con chi non vuole dividere a metà il discorso.
Non possiamo ritenere giusto togliere il rimedio a chi ci fronteggia non sapendo quanto in basso cadrà.
Chi per primo parla si preoccupi che l’altro sia sua sonda. Il godimento ha una carica negativa che solo la privazione del bene più grande può reggere.
L’altezza non aziona alcun meccanismo di sopravvivenza, è l’acqua a guadagnare il mondo alla vita contro il vuoto stare.