Ahi cacò! Taliellu a ‘ssu cacò. Ma sî ‘ncacò.
Non una ingiuria, ma una pietosa mano, che dagli occhi inebetiti scivola sul cuore, accompagna quelle frasi senza speranza. Chi se le lascia sfuggire è in preda all’incredulità. E pena per l’inettitudine o per la viltà o per la candida manchevolezza del cacò. Quel kakós greco rimasto impigliato in vita, autonomo e non prefisso come nell’italiano. Non un malvagio in senso stretto ma uno smerdatissimo cagone, un debole, caduto nelle grinfie di una donna avvenente e manipolatrice e senza cuore e cervello. Che cacò, diciamo. Qui.