Writers and Artists Yearbook 2011 – ovvero, del mercato

La concezione di letteratura nel Regno Unito, dagli anni ’80 in poi, ha paurosamente virato verso il mercatale. Fioriscono le guide, i gruppi di aiuto, le associazioni a supporto del talento, i corsi universitari di scrittura creativa, addirittura i dottorati. Fioriscono i party di lancio dell’ultimo chick-lit, della raccolta di saggi del cattedratico di fama, del romanzo fluviale dell’iracondo ragazzo cresciuto troppo in fretta.

E’ insomma un mestiere e come tale ci si deve organizzare: raccogliere indirizzi, promuovere, promuoversi, fare networking, non spaventarsi dei rifiuti ma prenderli come il primo passo verso la fama: se rispondono e’ perche’ esistete, altrimenti nemmeno vi risponderebbero. E soprattutto scrivere, scrivere, scrivere.

Questo libro che mi hanno regalato e’ una delle due grandi guide comprensive al mercato inglese e viene pubblicato ogni anno da ormai 70 anni. Una terza guida del tutto simile alle due ha chiuso i battenti con l’edizione 2010, lamentando la concorrenza dei mezzi elettronici che renderebbero inutile il database cartaceo, anche se venduto a meno di dieci sterline.

Il Writers and Artists Yearbook e’ in tutta onesta’ ricco di articoli, consigli, incoraggiamenti da parte di autori affermati. Quel che salta all’occhio e’ poi la differenza di postura fra chi fa narrativa e tutti gli altri (illustratori, poeti, packagers, autori di libri per bambini, disegnatori, teatranti). I narratori -anzi le narratrici, vista le netta predominanza femminile nel settore- si fanno ostensori di una Verita’ Rivelata composta di agenti, trattative, riunioni di redazione all’ultimo paragrafo, serrata ricerca di contatti e contattabili tramite internet, vita londinese e circuito accademico.

Ora, come gia’ scrissi in blog, qualche mese fa conobbi uno studente di dottorato in Creative Writing che voleva introdurmi ai panini poetici messi in giro da Faber & Faber per tastare il polso del mercato giovane. Mi porto’ anche ad una lettura qui a Manchester, ma non riusci’ a farmi sborsare le 5 sterline della plaquette di una tale suonatrice di arpa. Mi rimprovero’ sulla mia mancanza di imprenditorialita’ e, offesa nell’offesa, di scarsa curiosita’ verso il panorama contemporaneo, che mi avrebbe precluso ogni contatto e quindi di opportunita’ editoriale.

Ascoltando le parole di quel tizio e pungolato nello spirito appunto imprenditoriale, diedi alle stampe il mio “Tutte le Poesie (1994-2004)” in modalita’ print on demand, mandandone in giro 15 copie delle venti prodotte fra amici e persone con le quali ho condiviso il cammino in poesia. Ho ricevuto buoni riscontri in privato e ancora ringrazio per la pazienza, ma leggendo questa guida capisco di non avere speranza.

Essenzialmente i miei problemi sarebbero di tre tipi:
1- eccessiva economia di parole;
2- poco networking;
3- nulla frequentazione live, on stage.

1- L’eccessiva economia di parole significa che il poeta deve darsi da fare: scrivere per la radio, per la tv, per il teatro, recensioni, fare corsi di scrittura, martellare i giornali con interventi, martellare gli accadmici perche’ leggano i libri, inviare copie omaggio a tutti i protagonisti del settore. Cioe’, essendoci 800-1000 operatori in poesia, dovrei stampare 1000 copie solo per mandarle a tutti questi che, a loro volta, immagino mandino le loro 1000 copie agli stessi tutti e cosi’ via. Questo e’ quindi il mainstream della poesia, con aspettative di vendite fra il pubblico reale comprese fra 300 e 1000 copie quando va bene. Alcuni sottolineano l’importanza della regionalita’: se sei uno scozzese, irlandese o gallese, coltiva la vena locale, la lingua originaria, e diventa portavoce della tua tribu’. Se sei gay, drogato, minoranza etnica, minoranza sociale, meglio ancora: si tratta di nicchie di mercato floride, desiderose di ribalta. Va bene, mi sono detto, vediamo cosa sono io: un piccolo-medio borghese del meridione italiano con alcuni caratteristici tratti culturali terronei (l’emersione sociale negli studi duri, l’emigrazione), non gay, non drogato. A chi interesso nel mercato? Direi a nessuno: posso dunque rimanere parco, occuparmi delle carte prodotte nel passato e continuare a tradurre.

2- Poco networking. Nel Regno Unito vige il “we are in this together”, cioe’ siamo nella stessa barca, dunque diamoci una mano: tu segnali me, io segnalo te, entrambi segnaliamo un terzo che poi segnala noi. Boh, le mie affinita’ networkiche si sono ridotte nel tempo ad una questione di metodo (specchiata e disinteressata attenzione al puro prodotto scritto, verso o traduzione) e di lontananza dall’agone materialistico che tanto preme in UK e anche qui in Italia. Dei media, della cronaca, del fumus vacui di cui si alimenta il serpentone posso fare dignitosamente a meno. A chi puo’ interessare un profilo di questo tipo nel mercato? A nessuno, questa e’ la negazione del concetto di mercato. Devo dire che qui in Italia ci sono 100-200 persone che onestamente ragionano in termini non mercatali, ma bensi’ in termini di “dono”, su sfondo culturale cattolico o cattocomunista; e ad essere sincero nemmeno il “dono” mi sta bene: io vedo la questione come un puro esercizio formale che coinvolge le varie istanze sentimentali, sociali e quel che altro volete voi al solo fine del prodotto finale: la raccolta di poesie, la raccolta di traduzioni. Quella e’ la costituente, il fine. Non un mezzo per fare networking.

3- Frequentazione nulla live e su palco. Be’, col tempo ho capito di non essere portato per la rappresentazione del mio corpo e della mia voce su un palco, preferisco ancora che a parlare siano il volumino scritto, gli scambi epistolari molto tecnici, settoriali, su tradizioni e traduzioni. Ne’ ora a quasi 40 anni ho voglia di raccontare le mie verita’, che ad essere sincero sono abbastanza parziali e tutto sommato poco interessanti. Anche qui devo dire che ho trovato conforto, in Italia, in 20-30 persone piu’ o meno divise in gruppi di ricerca piu’ o meno accademica e con le quali di tanto in tanto interagisco. Ma ai fini del mercato? Niente, nientissimo, meno di niente.

Ringrazio dunque la persona che mi ha regalato questo libro, che ho sfogliato con viva curiosita’ e reale interesse, ma a parte la simpatia umana per una categoria particolare (i vignettisti), poco ho maturato. Una cosa ho invece imparato: la sola specie di scrittori che riesce davvero a campare del proprio mestiere e’ quella dei ghostwriter, che confezionano biografie di personaggi famosi o notevoli e vendono migliaia di copie al popolo sovrano isolano. Anche qui nulla di nuovo: vince chi ce l’ha fatta, la piccola imprenditorialita’, i consigli per sfondare. Auguroni, nel Regno Unito e nell’imitazione Italiana (che ho scoperto essere il mercato internazionale piu’ grande per i libri prodotti in UK, dopo la Germania).

Stefano Ferreri intorno a “All My Friends Are Funeral Singers” dei Califone

E’ sempre sfuggente e dinamica la musica scritta da Tim Rutili. Ai tempi dei Red Red Meat il leader dei Califone riuscì a proporre il proprio decadentismo acido e crepuscolare servendosi della comoda maschera del Seattle Sound, all’epoca ancora di gran moda, strappando un contratto all’inarrivabile Sub Pop e girando il mondo nell’ultimo vagone di una carovana miliardaria (quella degli Smashing Pumpkins all’apice del successo). Fu un’esperienza fortunata ed irripetibile che gli assicurò un bagaglio importante di trucchi ed espedienti sonori strappandogli però l’amata Glynis Johnson, assai fragile per un mondo evidentemente troppo abbagliante. Rutili non ha più saputo replicare i discreti riscontri commerciali che piccoli classici come ‘Jimmy Wine Majestic’ e ‘Bunny Gets Paid’ gli garantirono in quel lustro convulso e vissuto al massimo delle proprie potenzialità, ma questo declino non si è tradotto in una parallela discesa creativa. Alla guida del progetto Califone, nato quasi per caso e con intenti limitati alla sfera delle sperimentazioni personali, Tim ha scritto alcune tra le pagine migliori della propria già considerevole carriera. Soprattutto i Califone si sono rivelati una sorprendente oasi per la sua inesauribile sete di ricerca sui suoni, l’ideale valvola di sfogo per un songwriting tra i più originali e multiformi della scena indipendente, nordamericana e non. Alla guida di una band di eccellenti musicisti (la batteria è stata suonata nei primi tempi da Brian Deck, poi reinventatosi produttore), Rutili non ha mai smesso di ideare e frammentare mosaici tanto sfaccettati quanto spiazzanti, considerata la loro natura aliena al compromesso dei cliché e del tutto orientata al meticciamento tra generi e spunti diversi, anche contraddittori. Questa propensione alla libertà di scrittura contro i rigidi vincoli della forma riconoscibile ha offerto i suoi frutti migliori in dischi ostici come ‘Quicksand/Cradlesnakes’ o più accessibili (ma mai banali) come ‘Roots & Crowns’, ma non viene rinnegata nemmeno in questo più recente episodio, ‘All My Friends Are Funeral Singers’, nato addirittura con il pretesto concettuale dello storyboard per un bislacco lungometraggio dello stesso Rutili. Come scritto nella recensione cui rimando, il singolo di lancio scelto con lungimiranza dalla Dead Oceans è quantomai bugiardo e rappresenta l’album più per il richiamo nel titolo che per un’effettiva corrispondenza estetica: una ballata ruvida e franca alla Sixteen Horsepower che vale essenzialmente come punta dell’articolato ed ambiguo iceberg sonoro rutiliano. L’illusione di un’ortodossia che è suggerita ed accarezzata di continuo, solo per venire puntualmente sconfessata dalle estemporanee stravaganze di un autore in perenne fuga dalle convenzioni (e da se stesso). Ancora una volta la miscela di rumore nervoso, desert folk sulfureo, tribalismi ossessivi e abbondanti frattaglie psych vede compensati tutti i propri squilibri in una scontrosa ma affascinante opera di destrutturazione poetica prima che musicale: un lavoro di non facile ascolto ed anche per questo estremamente intrigante, la cui grezza vitalità assume i contorni tipici della rivivificazione di standard altrimenti sbiaditi. L’arte dell’assemblaggio curioso ed improbabile del mite Rutili segna un altro punto a suo favore: un risultato quasi scontato quando l’unica fatica per l’artista consiste nell’offrire una voce ai propri sogni. Anzi, ai propri incubi.

Incantata XXI, XXIII – Paul Muldoon, 1994 (14)

In cantata

XXI

Ti sconvolgerebbe l’idea del tuo spirito attaccato
a questa vita come un aereo alla sua scia
nel cielo blu: perche’, diresti, non c’e’ nulla, ma nulla
oltre e sopra il cielo stesso, solo uno strato di nubi
riflesso in mille laghi: sai, si dice che Minnesota
significhi ‘Acqua colore del cielo’, che il cielo
sia un grande blocco di granito o ferro, che potrebbe
in qualche modo ricomporsi a cio’ che era, miniera.

XXIII

Il fatto che volessi suicidarti ancora giovane
perche’ cosi’ era dovuto, riempie gli occhi di lacrime:
mi rifugio con Belacqua
Lucky e Pozzo nell’Accacca-
demia di Antropopometria cercando di capire
il quaquaquaqua della tua bocca a patata, quella bocca
tanto delicata quanto piena di autodisgusto
col suo quaquaquaqua, col suo quoquoquoquoquoquoquoquo.

—-
Paul Muldoon, The Annals of Chile, 1994, trad. Giuseppe Cornacchia, 2010, diritti riservati

XXI pubblicata su carta a Settembre 2012 in La superpotenza, venti anni di poesie, scritti e traduzioni da G.Cornacchia e A.Rendo, ISBN 9788891027474

Il Chlebnikov di Ripellino (III)

“Solo noi, arrotolati i vostri tre anni di guerra” (2 di 2)

D’ora in poi noi ordiniamo di sostituire le parole “Per grazia [divina”
con “Per grazia delle Isole Figi”.
E’ forse decente per il Signor Globo Terrestre
(sia fatta la sua volonta’)
incoraggiare il cannibalismo ecumenico
entro i confini di se stesso?
E non e’ servilismo senza limiti
da parte degli uomini in quanto mangiabili
proteggere il proprio Mangiatore Supremo?
Ascoltate! Persino le formiche
spruzzano acido formico sulla lingua dell’orso.
Se ci sara’ qualcuno ad obiettare
che lo stato degli spazi non e’ giudicabile
come ecumenica persona di diritto,
non obietteremo noi che forse l’uomo
e’ anch’esso uno stato: bimano,
di globuli sanguigni, ed anch’esso ecumenico?
Se gli stati sono perversi,
chi di noi movera’ un solo dito,
per prolungare il loro sonno
sotto la coltre del Per Sempre?
Voi siete malcontenti, o stati
e loro governi,
in segno d’avviso battete i denti
e fate piccoli balzi. E con questo?
Noi siamo la massima forza
e sempre potremo rispondere:
a sommossa di stati
sommossa di schiavi, –
con una missiva bene assestata.
Stando sulla tolda delle parole “Superstato della stella”
e non necessitando di bastone nell’ora di questo rullio,
chiediamo: chi e’ piu’ alto:
noi che, in virtu’ del diritto di sommossa
e inoppugnabili nel nostro primato,
servendoci della tutela delle leggi sull’invenzione,
ci siamo proclamati Presidenti del Globo Terrestre,
oppure voi, governi
di singoli paesi del passato,
questi prosaici residui caduti vicino a macelli
di tori bipedi,
del cui cadaverico umore vi siete unti?
Quanto a noi, condottieri di un’umanita’
da noi edificata secondo le leggi dei raggi
con l’ausilio delle equazioni del fato,
noi rinneghiamo i padroni,
che si spacciano per governanti,
per stati e altre case editrici
e ditte commerciali Guerra & C.,
che hanno appoggiato i mulini del dolce benessere
all’ormai triennale cascata
di vostra birra e di nostro sangue
dall’inerme onda rossa.
Vediamo stati ruzzolare sulla spada
per lo sconforto del nostro avvento.
La patria sulle labbra, sventolandovi
col ventaglio del regolamento bellico-campale,
avete con impudenza inserito la guerra
nel cerchio delle Fidanzate dell’uomo.
Ma voi, stati degli spazi, placatevi
e non piangete come ragazzine.
Come intesa privata di privati,
assieme alle societa’ degli ammiratori di Dante,
dell’allevamento di conigli, della lotta con le arvicole,
entrerete sotto l’usbergo delle leggi da noi promulgate.
Non vi toccheremo.
Una volta per anno potrete adunarvi in annuali adunanze,
passando in rassegna le forze che si rarefanno
e in base al diritto delle associazioni.
Restate dunque volontaria intesa
di privati, non necessaria a nessuno
e per nessuno importante.
Fastidiosa come un mal di denti
in una Nomina del XVII secolo.
Rispetto a noi voi siete
come l’irsuta gamba-mano d’una scimmia,
scottata da un recondito dio-fiamma,
rispetto alla mano d’un pensatore, che placida
governa l’universo,
di questo cavaliere della sorte sellata.
C’e’ di piu’: noi fondiamo
la societa’ per la difesa degli stati
dal ruvido e feroce trattamento
delle comuni del tempo.
Come deviatori
ai binari d’incontro del Passato e del Futuro,
guardiamo con uguale sangue freddo
alla sostituzione dei vostri stati con una
umanita’ edificata scientificamente,
come alla sostituzione d’una ciocia di tiglio
col bagliore di specchio d’un treno.
Compagni-operai! Non vi lagnate di noi:
come operai-architetti, noi andiamo
per una strada speciale ad un fine comune.
Noi siamo un genere speciale d’arma.
Dunque il guanto di sfida
di quattro parole “Governo del Globo Terrestre”
e’ gettato.
Intersecato da una rossa folgore,
l’azzurro stendardo dell’Anarchia
stendardo delle albe ventose, dei soli aurorali,
e’ issato e sventola sopra la terra,
eccolo, amici miei!
Il Governo del Globo Terrestre!


21 aprile 1917

Christian Marinotti Edizioni

Con questo post intendiamo presentare, più che alcuni volumi, un progetto editoriale. Christian Marinotti Edizioni (www.marinotti.com) – da oltre un decennio attiva nella produzione di saggistica nell’ambito delle discipline umanistiche (basti citare la Collana Sartriana, con l’edizione di opere originali di Jean-Paul Sartre, spesso inedite per il pubblico italiano!) – di recente ha aperto il proprio catalogo al mondo della letteratura e della narrativa, con la riscoperta, fra l’altro, di un filone classico, con la riedizione di testi sostanzialmente “nuovi” come l’importante romanzo di Federico De Roberto, “Ermanno Raeli”, mai più pubblicato dagli inizi del Novecento, e un romanzo di Jean-Paul Sartre, “Una strana amicizia”, assolutamente inedito per l’Italia.

Si tratta di un progetto di alto livello culturale e di elevata ambizione: costruire, attraverso il piacere della lettura e della letteratura, un percorso virtuoso di salvaguardia di una idea e di una pratica di cultura, intese come conoscenza, relazione, crescita intellettuale e civile.

In questo senso Marinotti Edizioni si rivolge alla comunità di lettori e di interlocutori che si ritrova nelle “pagine” del nostro sito, perché possa meglio conoscerne l’attività editoriale, seguirne e sostenerne, se condiviso, lo sviluppo culturale.

La redazione di Nabanassar

Madoc: A Mystery, stanze [Hobbes] & [Vico] – Paul Muldoon, 1990 (13)

Madoc: Un Mistero

[Hobbes]

Coleridge non potra’ piu’ riferirsi,
da questo stipite azzurrino
sulla porta di una baracca,
ad un’idea di ‘Blu’ o di ‘Stipite’,

non potra’ da un moschetto,
una pagaia, una zucca,
da cose e cosettine,
uno scacciazanzare,

una scure, una zappa, una semplice punta,
un coltello, un bollitore,
una pinza, una tacca,
una maschera irochese, un idiofono

non potra’ dir nulla oltre i loro nomi.
Tamburi silenziosi. Botte di rum vuota.

*

[Vico]

Un piccolo scoiattolo grigio, sofferente
sbuffa
su un tapis

di vimini attaccato
ad un elaborato
sistema di leve

ruote manovelle
carrucole
ingranaggi

camme cinghie
puntoni pignoni
mandrini

punterie cuscinetti
molle
verricelli

arcolai torni vasai
cricchetti
sciocchezze

assortita ferraglia
di bielle
cricchi

su un tapis
sul quale sbuffa
un piccolo scoiattolo grigio, sofferente.

——-
Paul Muldoon, Madoc, 1990 – trad. Giuseppe Cornacchia, 2010, diritti riservati

[Vico] e’ stata pubblicata su carta a Settembre 2012 in La superpotenza, venti anni di poesie, scritti e traduzioni da G.Cornacchia e A.Rendo, ISBN 9788891027474

Il Chlebnikov di Ripellino (II)

“Solo noi, arrotolati i vostri tre anni di guerra”

Solo noi, arrotolati i vostri tre anni di guerra
in un cartoccio di minaccevole tromba,
cantiamo e gridiamo, cantiamo e gridiamo,
ubriachi del fascino di quella certezza,
che il Governo del Globo Terrestre
gia’ esiste:
siamo Noi.
Solo noi abbiamo calcato sulle nostre fronti
il serto selvatico di Governanti del Globo Terrestre,
inesorabili nella nostra abbronzata ferocia,
saliti sul masso del diritto di conquista,
alzando il vessillo del tempo,
noi – vasai che cociamo le umide argille dell’ umanita’
nelle brocche e nei bricchi del tempo,
noi – promotori della caccia alle anime
urliamo in canuti corni marittimi,
chiamiamo a raccolta gli umani armenti –
Evoe’! Chi e’ con noi?
Chi ci e’ amico e compagno?
Evoe’! Chi ci segue?
Cosi’ noi balliamo, pastori degli uomini e
dell’ umanita’, sonando il piffero.
Evoe’! Chi e’ piu’ grande?
Evoe’! Chi e’ piu’ avanti?
Solo noi, saliti sul masso
di noi stessi e dei nostri nomi,
fra un mare di vostre maligne pupille,
solcate dalla fame dei patiboli
e contorte dall’estremo orrore,
sulla risacca dell’urlo umano
vogliamo che ci si apostrofi e d’ora in poi ci si onori
Presidenti del Globo Terrestre.
Che sfacciati – diranno certuni,
no, sono santi, obietteranno gli altri.
Ma noi sorrideremo come dei,
additando con la mano il Sole.
Trascinatelo ad un guinzaglio per cani,
impiccatelo alle parole
“Liberta’”, “Fratellanza”, “Uguaglianza”,
processatelo al vostro tribunale di sguattere,
perche’ sulle soglie
d’una molto ridente primavera
ci ha ispirati questi bei pensieri,
queste parole e ci ha dato
questi sguardi sdegnosi.
Il colpevole e’ Lui.
Noi non facciamo che adempiere il bisbiglio solare,
quando verso di noi erompiamo come
capimandati dei suoi ordini,
dei suoi severi comandi.
Le pingui folle dell’umanita’
si stenderanno sulle nostre tracce.
Dove noi siamo passati,
Londra, Parigi e Chicago
per gratitudine sostituiranno i loro
nomi coi nostri.
Ma perdoneremo una tale stoltezza.
Tutto questo e’ di la’ da venire,
e intanto, madri,
portate via i vostri figli,
se apparira’ in qualche posto uno stato.
Giovani, saltate e rintanatevi nelle spelonche
e nel profondo del mare,
se in qualche posto vedrete uno stato.
Ragazze e chiunque fra voi non sopporta l’odore dei morti,
cadete in deliquio alla parola “frontiere”:
esse odorano di cadaveri.
Eppure ogni ceppo fu un tempo
una bella conifera,
un pino fogliuto.
Il ceppo e’ perverso soltanto per questo,
che su esso si tronca la testa agli uomini.
Cosi’, stato, anche tu
sei parola assai bella nel sogno,
composta di ben cinque suoni:
con molte comodita’ e refrigerio.
Sei cresciuto in un bosco di parole:
ceneriera, fiammifero, cicca,
pari tra pari;
ma perche’ si va nutrendo d’uomini?
Perche’ il paese natio s’e’ fatto cannibale,
e la patria sua sposa?
Ehi! Ascoltate!
A nome dell’intera umanita’
ci rivolgiamo con messaggi di pace
agli stati del passato:
se voi siete splendidi, o stati,
come amate narrare di voi stessi
e di voi costringete a narrare i vostri famigli,
allora perche’ questo cibo agli dei?
Perche’ scricchiamo, noi uomini, nelle vostre mandibole,
tra zanne e denti molari?
Ascoltate, stati degli spazi,
ecco ormai da tre anni
voi fate finta
che l’umanita’ sia soltanto una pasta,
un dolce biscotto che vi si scioglie in bocca;
e se il biscotto scattera’ come un rasoio, dicendo, mammina?
Se lo spargeremo di noi,
come d’un tossico?

—-
21 aprile 1917 …. continua (1 di 2)

concorso gratuito “200 versi per nabanassar”

Accettiamo in lettura fino al 31 luglio raccolte di poesia inedita a tema libero.

Lo scopo e’ esercitare pubblicamente uno dei cardini del nostro impegno, cioe’ l’attenzione ai testi. Ci immergiamo nel magma webbico 2010 con la speranza di scovare una o due perle che leggeremo e commenteremo in dettaglio qui su blog, segnalando al pubblico e a piccoli editori amici o affini.

La partecipazione e’ gratuita. Il materiale -per un massimo di 200 versi- va inviato alla casella redazionale nabanassar@gmail.com in formato .doc o .pdf, comprensivo di nome e cognome.

Informeremo via mail nella prima meta’ di settembre gli autori/autrici delle sole opere selezionate, per concordare le modalita’ di presentazione sul blog. Daremo quindi conto pubblicamente del numero totale di opere pervenute, senza altra menzione nominativa o di titolo, e annunceremo i vincitori.

Tutti i diritti sui materiali spediti resteranno ai rispettivi autori.

Grazie per l’attenzione e buona estate da noi di nabanassar. Leggete anche voi un libro di poesia!

La proprietà e il possesso – Angelo Rendo

Arriva e si ferma, sopra il cranio, un lieve sfarfallio, poi la zampetta perfora il guscio e il presente da tempo a tempo fischia, correndo a cerchio, incutendo, a stornare il baccello, a non chiudere gli occhi, pena la fine increduta.

Non essere fantastico, che si prenda l’acqua e il tubo: l’allargamento.

Chiusi, fra correnti fonde, senza il saluto del popolo, l’occhio lesto e tremante. Il poco che resta, un abbraccio, una stretta di mano.

L’insolenza non è ostruita dal sentimento contrario di chi solo scrive. Balbettano le formichine e i boati non prevenire. Da dove.

Non c’è frode se non raccogli presto l’invito dell’entusiasmo, poiché ove tutto stinge, lì vige la forma florida.

Se lasci che le parti si uniscano, trovino voglia a meglio dire, passa il tempo; e ciò che sembrava in moto, sta, non raggiunto il ritorno; la formalità ingrassa te, mentre me in linea tiene.

Pubblicato su carta a Settembre 2012 in La superpotenza, venti anni di poesie, scritti e traduzioni da G.Cornacchia e A.Rendo, ISBN 9788891027474