Martina Campi – ESTENSIONI DEL TEMPO, Le Voci della Luna

[Riceviamo da Martina Campi il suo volume ESTENSIONI DEL TEMPO, uscito per Le Voci della Luna di Fabrizio Bianchi nell’Ottobre 2012 quale vincitore del Premio Giorgi 2012 per silloge inedita. Ci sembra una poesia ai limiti dell’inconsistente, molto rarefatta e libellula con la parola. Il testo “Una concessione”, tuttavia, apre uno squarcio verticale meritevole di attenzione. Giuseppe Cornacchia e Angelo Rendo, Gennaio 2013]

Una concessione

Nell’abbraccio
ci si stratifica o si prende
il volo

il volo sottratto del venire
al mondo, il volto
addomesticato

gli strati di una
ritirata
necessaria perché terrosa.

Accadono soprassedendo, acuminati
sterminati, infranti
dolenti sui confini

gli stati dell’assenza
le superfici assolate
le morbidezze, nei ritrovamenti

Martina Campi nasce a Verona nel 1978. Dal 1997 vive a Bologna, dove si laurea in Scienze della Comunicazione. È tra i poeti premiati con Segnalazione al Premio Montano 2012 per la raccolta inedita La saggezza dei corpi. È presente in alcune antologie poetiche.

7 pensieri su “Martina Campi – ESTENSIONI DEL TEMPO, Le Voci della Luna

  1. Lorenzo Mari definisce (su Poesia 2.0, al link in Pingback qui sopra) acrimoniosa la definizione di “libellula con la parola” attribuita alla poesia di Martina Campi, come la si legge in questo libro. In verita’, non si tratta di una definizione normativa e neppure prescrittiva: chiamiamola un correlativo oggettivo. Non si puo’ rimproverare ad una poesia di essere esile e neppure di avere una forma che tende all’inconsistente, perche’ quella e’ la sua forma propria e non questionabile. Peraltro, il testo riportato per esteso (“Una concessione”) dimostra che la Campi e’ capace di fare una poesia piu’ compiuta, che mostri cioe’ un moto al quale possiamo riferirci tutti, invece di un puro suono (ultrasuono o ronzio che dir si voglia).

  2. Capisco, forse “acrimoniosa” è fuori fuoco, come aggettivo… Continuo a credere però che non esistano posizioni neutrali, non questionabili, rispetto alla lettura di un testo. In entrambe le posizioni che abbiamo assunto emergono dati che si assomigliano e dati che collidono. Si vedano certi dettagli di questa presentazione, o del commento qui postato, nonché della mia. O mi sbaglio?
    Lorenzo

  3. La poesia di Martina Campi, come letta in questo libro, non e’ figlia di Mallarme. E’ uno scrivere anche a scopo scenico (probabilmente perche’ la Campi e’ ella stessa performer e di gentil porsi artistico). “Una concessione” indica -secondo me- dove andare a scavare, se ha necessita’ di farlo e forza di sciogliere i nodi e risolvere le dislocazioni, per giungere al nocciolo della voce propria autoriale. Saluti. Giuseppe

  4. Credo che la “leggerezza” possa considerarsi ancora e sempre un dono, molto raro, per chi scrive e chi legge poesia. Non leggo dei versi “scenici”, quanto ariosi e cosa di più consistente dell’elemento “aria” in tempi in cui sembra sempre troppa – tanta! – la carne al fuoco? Crediamo che lo scrivere debba attingere dal respiro, e che il sentire, di certo stratificato, possa provenire proprio dall’esserci quasi per non-gravità di un io che comunque è e si riconosce corpo, peso, presenza e respiro, provenienza e continuo. La scrittura di Campi, a mio avviso, è pure palpabile, e ronza, come scrive Mari, di una consistenza davvero rara, e pure – come si legge qui – rarefacendosi si pone, aperta, a una ricerca interessantissima – dell’esserci, parola e suono, quasi a “giustificare” le cose stesse, quelle “facili” e “difficili”, quelle che a ben sentire, il poeta estrae, senza inventare niente, aprendo piccoli vortici estesi, addirittura nuove forme di canto sul posto, il posto scritto sulla carta, la voce affamata e stanca, il segreto e minuscolo enigma dello stare. Saluti, Giampaolo Dp

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