Writers and Artists Yearbook 2011 – ovvero, del mercato

La concezione di letteratura nel Regno Unito, dagli anni ’80 in poi, ha paurosamente virato verso il mercatale. Fioriscono le guide, i gruppi di aiuto, le associazioni a supporto del talento, i corsi universitari di scrittura creativa, addirittura i dottorati. Fioriscono i party di lancio dell’ultimo chick-lit, della raccolta di saggi del cattedratico di fama, del romanzo fluviale dell’iracondo ragazzo cresciuto troppo in fretta.

E’ insomma un mestiere e come tale ci si deve organizzare: raccogliere indirizzi, promuovere, promuoversi, fare networking, non spaventarsi dei rifiuti ma prenderli come il primo passo verso la fama: se rispondono e’ perche’ esistete, altrimenti nemmeno vi risponderebbero. E soprattutto scrivere, scrivere, scrivere.

Questo libro che mi hanno regalato e’ una delle due grandi guide comprensive al mercato inglese e viene pubblicato ogni anno da ormai 70 anni. Una terza guida del tutto simile alle due ha chiuso i battenti con l’edizione 2010, lamentando la concorrenza dei mezzi elettronici che renderebbero inutile il database cartaceo, anche se venduto a meno di dieci sterline.

Il Writers and Artists Yearbook e’ in tutta onesta’ ricco di articoli, consigli, incoraggiamenti da parte di autori affermati. Quel che salta all’occhio e’ poi la differenza di postura fra chi fa narrativa e tutti gli altri (illustratori, poeti, packagers, autori di libri per bambini, disegnatori, teatranti). I narratori -anzi le narratrici, vista le netta predominanza femminile nel settore- si fanno ostensori di una Verita’ Rivelata composta di agenti, trattative, riunioni di redazione all’ultimo paragrafo, serrata ricerca di contatti e contattabili tramite internet, vita londinese e circuito accademico.

Ora, come gia’ scrissi in blog, qualche mese fa conobbi uno studente di dottorato in Creative Writing che voleva introdurmi ai panini poetici messi in giro da Faber & Faber per tastare il polso del mercato giovane. Mi porto’ anche ad una lettura qui a Manchester, ma non riusci’ a farmi sborsare le 5 sterline della plaquette di una tale suonatrice di arpa. Mi rimprovero’ sulla mia mancanza di imprenditorialita’ e, offesa nell’offesa, di scarsa curiosita’ verso il panorama contemporaneo, che mi avrebbe precluso ogni contatto e quindi di opportunita’ editoriale.

Ascoltando le parole di quel tizio e pungolato nello spirito appunto imprenditoriale, diedi alle stampe il mio “Tutte le Poesie (1994-2004)” in modalita’ print on demand, mandandone in giro 15 copie delle venti prodotte fra amici e persone con le quali ho condiviso il cammino in poesia. Ho ricevuto buoni riscontri in privato e ancora ringrazio per la pazienza, ma leggendo questa guida capisco di non avere speranza.

Essenzialmente i miei problemi sarebbero di tre tipi:
1- eccessiva economia di parole;
2- poco networking;
3- nulla frequentazione live, on stage.

1- L’eccessiva economia di parole significa che il poeta deve darsi da fare: scrivere per la radio, per la tv, per il teatro, recensioni, fare corsi di scrittura, martellare i giornali con interventi, martellare gli accadmici perche’ leggano i libri, inviare copie omaggio a tutti i protagonisti del settore. Cioe’, essendoci 800-1000 operatori in poesia, dovrei stampare 1000 copie solo per mandarle a tutti questi che, a loro volta, immagino mandino le loro 1000 copie agli stessi tutti e cosi’ via. Questo e’ quindi il mainstream della poesia, con aspettative di vendite fra il pubblico reale comprese fra 300 e 1000 copie quando va bene. Alcuni sottolineano l’importanza della regionalita’: se sei uno scozzese, irlandese o gallese, coltiva la vena locale, la lingua originaria, e diventa portavoce della tua tribu’. Se sei gay, drogato, minoranza etnica, minoranza sociale, meglio ancora: si tratta di nicchie di mercato floride, desiderose di ribalta. Va bene, mi sono detto, vediamo cosa sono io: un piccolo-medio borghese del meridione italiano con alcuni caratteristici tratti culturali terronei (l’emersione sociale negli studi duri, l’emigrazione), non gay, non drogato. A chi interesso nel mercato? Direi a nessuno: posso dunque rimanere parco, occuparmi delle carte prodotte nel passato e continuare a tradurre.

2- Poco networking. Nel Regno Unito vige il “we are in this together”, cioe’ siamo nella stessa barca, dunque diamoci una mano: tu segnali me, io segnalo te, entrambi segnaliamo un terzo che poi segnala noi. Boh, le mie affinita’ networkiche si sono ridotte nel tempo ad una questione di metodo (specchiata e disinteressata attenzione al puro prodotto scritto, verso o traduzione) e di lontananza dall’agone materialistico che tanto preme in UK e anche qui in Italia. Dei media, della cronaca, del fumus vacui di cui si alimenta il serpentone posso fare dignitosamente a meno. A chi puo’ interessare un profilo di questo tipo nel mercato? A nessuno, questa e’ la negazione del concetto di mercato. Devo dire che qui in Italia ci sono 100-200 persone che onestamente ragionano in termini non mercatali, ma bensi’ in termini di “dono”, su sfondo culturale cattolico o cattocomunista; e ad essere sincero nemmeno il “dono” mi sta bene: io vedo la questione come un puro esercizio formale che coinvolge le varie istanze sentimentali, sociali e quel che altro volete voi al solo fine del prodotto finale: la raccolta di poesie, la raccolta di traduzioni. Quella e’ la costituente, il fine. Non un mezzo per fare networking.

3- Frequentazione nulla live e su palco. Be’, col tempo ho capito di non essere portato per la rappresentazione del mio corpo e della mia voce su un palco, preferisco ancora che a parlare siano il volumino scritto, gli scambi epistolari molto tecnici, settoriali, su tradizioni e traduzioni. Ne’ ora a quasi 40 anni ho voglia di raccontare le mie verita’, che ad essere sincero sono abbastanza parziali e tutto sommato poco interessanti. Anche qui devo dire che ho trovato conforto, in Italia, in 20-30 persone piu’ o meno divise in gruppi di ricerca piu’ o meno accademica e con le quali di tanto in tanto interagisco. Ma ai fini del mercato? Niente, nientissimo, meno di niente.

Ringrazio dunque la persona che mi ha regalato questo libro, che ho sfogliato con viva curiosita’ e reale interesse, ma a parte la simpatia umana per una categoria particolare (i vignettisti), poco ho maturato. Una cosa ho invece imparato: la sola specie di scrittori che riesce davvero a campare del proprio mestiere e’ quella dei ghostwriter, che confezionano biografie di personaggi famosi o notevoli e vendono migliaia di copie al popolo sovrano isolano. Anche qui nulla di nuovo: vince chi ce l’ha fatta, la piccola imprenditorialita’, i consigli per sfondare. Auguroni, nel Regno Unito e nell’imitazione Italiana (che ho scoperto essere il mercato internazionale piu’ grande per i libri prodotti in UK, dopo la Germania).

5 pensieri su “Writers and Artists Yearbook 2011 – ovvero, del mercato

  1. Ora non mi ricordo dove ho letto questa frase: “Se parli forte non dire mai io” e d’altro canto Coleridge nel “Kubla Khan” palesa tutta la “vittimarietà” del fenomeno poetico:

    “But oh! that deep romantic chasm which slanted/
    Down the green hill athwart a cedarn cover!/
    A savage place! as holy and enchanted/
    As e’er beneath a waning moon was haunted/
    By woman wailing for her demon-lover!”.

    Insomma, credo siano riflessioni non confacentisi al nostro luogo, fuori tempo massimo.

  2. Be’ questa letturina/cronachina e’ un commiato, questa volta agli albionici. Quattro anni di immersione totale (o almeno, un tentativo) e ritrovarmi con le traduzioni di Muldoon, il prospetto di tradurre Koethe e pochissimo altro.

    Aver letto questo libro ha infine dato la misura ragionata del fallimento. Concordo che avrei dovuto scriverlo in inglese, per passarlo agli albionici in questione, ma appunto me ne sono gia’ accomiatato.

  3. Sì, ma il “Tutte le poesie” era ed è diretto al mercato italiano: scritto in italiano, pubblicato con print on demand italiano,lanciato in Italia.

    Ma va bene così…

  4. Nelle intenzioni avrei dovuto passare una copia per farmelo tradurre e poi piazzarlo nel circuito anglofono; venne fuori un primo problema: volevano 2500 sterline. E un secondo problema: la loro traduttrice incaricata, una italiana trapiantata da 20 anni, era al livello del gabibbo. Questi sono purissimi incompetenti, ma niente affatto scemi! 😀

  5. E dovevi vederli seri seri quando parlavano di cifre, di copie e di lancio sui mezzi mediatici dei loro circuiti interni. Ma sti gran cazzi, come dicono i giovani di oggi!!!

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