Anni di piombo? di Pasquale Giannino, Real Italian Epic (R.I.E.)

versante orientale
San Donato di Ninea - versante orientale

Spesso rimpiango di non aver vissuto gli anni Settanta. Ero troppo piccolo, mi resta solo qualche frammento, come il giorno in cui rapirono Aldo Moro. Mi pare di vederlo, mio padre, che fra un sorso di whisky e l’altro commentava la notizia con un amico in salotto, e non capivo perché fossero entrambi così preoccupati. Ricordo che scoppiai in lacrime quando dissero che era morto papa Luciani. Non so perché, ma io a quel papa volevo bene. Poi elessero il polacco, ma se devo essere onesto non mi era per niente simpatico. Dopo, crescendo, ho imparato che ha avuto un ruolo cruciale per la storia del mondo, che ha dato al muro la scossa definitiva e tutto il bla bla bla che hanno imbastito intorno alla sua figura. Ricordo l’elezione di Pertini, e fu anche per lui amore a prima vista: era come se avessero eletto mio nonno… La nostra casetta si affacciava su via XXIV Maggio, una viuzza tutta in salita che cedeva il posto, una ventina di metri più in alto, a una scalinata che era uno schianto. Appena la imboccavi c’era sulla destra il palazzo di don Peppino, un vecchio medico rimasto nel cuore della gente. Morì proprio in quel periodo, quasi novantenne. Lo ricordo quando usciva per andare a prendere il giornale vestito da gran signore: il bastone sotto il braccio, lo sguardo altero, camminava dritto come un fuso. Qualche tempo fa gli hanno intitolato una piazza, in verità si tratta di un piccolo slargo: quello che separa la via dalla scalinata. Io sono stato sempre molto attento agli aneddoti che ci raccontavano i vecchi del paese, eppure vi confesso che non ho mai capito, da quei racconti, quale fosse il merito di tanta adorazione. Sarà stato un medico dei poveri, uno alla Céline, uno che non chiedeva soldi a chi aveva problemi… Macché, niente di tutto questo: era uno che si pagava profumatamente. Conosco la storia di un contadino che dovette vendere l’asino per pagare una sua prestazione… Davvero, non ho mai compreso il motivo di tanta reverenza. Se qualche volta vi capita di passare da San Donato di Ninea, provate a chiedere chi era don Peppino Lamensa. Sicuramente vi sentirete rispondere che era un santo… A ogni modo, dall’altra parte della scalinata c’era una putiga, un negozietto di generi alimentari e altri prodotti utili al lavoro delle massaie. Ogni quartiere ne aveva una. A quei tempi i centri commerciali non c’erano ancora… Proseguendo per una cinquantina di metri trovavi un’altra piazzetta, in alto campeggiava una scritta del ventennio. Ce ne erano altre sparse per i vicoletti, ma quella era particolare: faceva riferimento alle sanzioni che avevano colpito l’Italia dopo l’impresa coloniale voluta dal duce. Dalla piazzetta potevi accedere al municipio, che era l’ultimo palazzo costeggiato dalla scalinata. Mio padre a quei tempi faceva parte della giunta. Avevano dato vita a una coalizione molto strana: il sindaco era un democristiano incallito; il suo vice era pazzo di Almirante; mio padre era un socialista della corrente di Mancini. Insomma, avevano realizzato in ambito locale un compromesso storico ancora più spinto di quello sperimentato a livello nazionale… Una notte mi svegliai di soprassalto: fuori c’era un trambusto che non avevo mai sentito prima. Urlavano slogan che mi parevano incomprensibili, ma uno lo capii: ce l’avevano col sindaco e con la giunta. L’indomani mattina mio padre mi portò con sé al comune, quando passammo davanti alla scritta commemorativa, notai che era stata sfregiata con uno strano simbolo. “Cos’è quello?” chiesi a mio padre. “Il simbolo dell’anarchia.” “E cos’è l’anarchia?” Non mi rispose.

Ecco, questi sono i miei ricordi degli anni che sono stati consegnati alla storia come anni di piombo. Il resto l’ho appreso dai libri e dalla vita che vivo ogni giorno sulla mia pelle. “Bisogna essere competitivi!” ci ripetono fino alla nausea. È questo il “Verbo” del nuovo millennio. Ma nessuno ci avverte che la competizione è per pochi.

Pasquale Giannino, ottobre 2008

10 pensieri su “Anni di piombo? di Pasquale Giannino, Real Italian Epic (R.I.E.)

  1. Come scrivevo a Pasquale, e’ un nostro (di nabanassar & dintorni) interesse reale, una sottolineatura delle tradizioni letterarie italiane -tematiche e stilistiche- che cerchiamo di portare avanti anche in un periodo molto modaiolo come questo. Non avremo i titoli sui giornali o le pubblicazioni presso Einaudi o Mondadori, ma e’ un fatto importante, che nel nostro piccolo ci aiuta a continuare su una strada che immaginiamo fertile e proficua. Il padre putativo ci sembra Verga, seguito nelle ramificazioni di Gadda e Alvaro.

    Ne abbiamo gia’ discusso qualche mese fa su questo stesso blog, in questo post di introduzione: https://nabanassar.wordpress.com/2008/06/01/pasquale-giannino-real-italian-epic-rie/ .

  2. E continuo… l’interesse non e’ solo nella tematica verista, nel ciclo dei vinti, nel realismo provincial-regionale, nell’artificio stilistico del discorso libero indiretto che pure Giannino usa magari involontariamente… cosi’ come non e’ un discorso puramente centro-meridionale, oggi meglio ripreso da letterature di reportage arrivate infine alla “Gomorra” di Saviano (nel quale i vinti trovano via di riscatto nell’antistato).

    Il fondamento dell’interesse e’ nelle dinamiche di una integrazione ancora oggi “impossibile”, certamente non borghese ne’ urbanizzata, ne’ tantomeno fascista (si veda il compromesso storico antelitteram di Giannino qui sopra); cosi’ come l’interesse viene nel considerare con distacco -fin dal principio- il modello americano mitizzato in Italia dagli anni ’30 come aspirazione al “superamento” del realismo povero (“la competizione e’ per pochi”, ancora Giannino qui sopra). Del resto, anche Pascoli, quindi Fogazzaro e Svevo sono modelli italiani, italianissimi del nord, precedenti la colonizzazione culturale.

    E’ il debito con la vulgata statunitense che e’ qui assente, nonostante l’incidente storico della seconda guerra mondiale e le sue larghe conseguenze; un debito che non ci tocca, che quindi ci riduce inesorabilmente la portata di tutto cio’ che e’ venuto e ancora oggi rimasuglia in nipoti e nipotini. L’evoluzione di nostro interesse e’ invece europeista, il tentativo di formare una comunita’ piu’ grande che risolvesse anche i problemi interni; filone ben perseguito a livello politico nel secondo dopoguerra, fino all’attuale configurazione a 27, ideale che ha quali padri artistici recenti il Kieslowski dei Tre Colori e l’Angelopoulos di L’Eternita’ e un Giorno, e quali eminenti quesiti politici la discussione sulle radici cristiane da inserire o meno in Carta.

  3. Potremmo ancora dire che – dinanzi al rapace “mimetismo” di marca anglo-americana, dinanzi all’impegno civile dei professionisti dell’anticamorra, dinanzi all’illusione dell’idealismo, del realismo – vive la certezza della “dissociazione”.
    La virtù non nasce nel e col frastuono. E’ un accidente.

  4. La questione è se fare letteratura vera o disonesta. In altre parole il gioco è fra l’onestà non solo intellettuale e il guadagno rapido, a cui non si può negare che la società del termine vieppiù breve facilmente tira.

    Cari saluti,
    Pasquale

  5. e’ la dispositio, questo rovello dell’ “emergente” che fotte molta gente… emergente da che? da mille altri come te (Pasquale non impermalirti, non e’ diretta a te personalmente!! :-D), quindi tutti pio pio pio come gli scemi…

  6. Aggiungo qualche byte. Lo scandalo non è quello di attingere alla letteratura di matrice anglosassone o americana, io stesso debbo dire grazie ai signori London, Twain, Hemingway per quanto riguarda una certa maturazione dello stile, sono grato al sig. Dickens per avermi insegnato che la poesia puoi trovarla dove meno te l’aspetti, perfino nei luoghi più infidi e squallidi. Chiarito questo, rimanendo in ambito letterario (la questione potrebbe allargarsi ad altri ambiti del politico e del sociale [domini a cui la letteratura “onesta” non dovrebbe sottrarsi]), la disputa rimane fra la letteratura di “verità” (non necessariamente di stampo verista o neorealista) e quella di mera illusione. Guardiamo a dei casi pratici: opere come Ragazzi di vita, Cristo si è fermato a Eboli, Se questo è un uomo afferiscono alla prima categoria; vi afferisce senz’altro Gente in Aspromonte di Alvaro ma non solo, sono altresì “vere” opere meno conosciute ancorché di più ampio respiro dello scrittore calabrese, quali Il mare o L’uomo è forte. Tali romanzi sono saldamente ancorati alla realtà che rappresentano, ma non è tanto questo il parametro peculiare quanto la forza di scavare, approfondire, sviscerare la materia oggetto della creazione letteraria per ciò che dovrebbe essere il fine ultimo del fare letteratura: quello di “formare”. Dopo che hai letto uno di questi libri non sei più la stessa persona, hai imparato a leggere e decifrare almeno qualche brano di un altro libro molto più duro e incomprensibile: quello della vita… Racconti romani di Moravia è tutta un’altra roba: i canoni del neorealismo ci sono ma la sostanza è poca: resti in superficie, non trovi niente di nuovo, di profondo… niente che travalichi l’ambito del mero esercizio stilistico. Lo stesso discorso vale per uno dei padri fondatori del cannibalismo nostrano: Niccolò Ammaniti. Buona tecnica narrativa, notevole capacità di intersecare storie diverse, azioni veloci e coinvolgenti… E poi? E poi ti accorgi che se non lo avessi letto non sarebbe cambiato nulla. Anzi no: avresti qualche spicciolo in più.

    @ arendo

    Certo Angelo! Sai che pizza fare una strada che non è la tua…

    @ nabanassar

    Tranquillo Giuseppe, è una fase che ho superato 🙂 I rovelli oggi sono altri…

    Buona serata,
    Pasquale

  7. Pasquale, parlando di “mimetismo”, il riferimento netto e chiaro andava al colore e al sapore delle prose scimmiottanti di chi fa vessillo d’americanità – e sono tantissimi, ad oggi, in Italia.

    Quanto al resto (lett. “onesta”, lett. di “verità”, lett. d'”illusione”): si tratta di un impasto inestricabile, andato a male. Perché? Perché sono stufo di proclami e di intenzioni, oramai. E perché non ogni cosa può trovare nome. E allora vediamo dove arriviamo, prescindendo da epopee, galloni, eroismi, aspettative, pedagogismi. O perlomeno manovrando per dove il giro ci inclina a guardare.

    Poi, reduce dalla visione del suo ultimo film leggevo qui questa vecchiotta intervista: http://www.melazzini.com/it/giornalismo/2007.htm#avati

    E mi cadevano all’occhio queste semplici righe: “La quotidianità mi incuriosisce, mi sollecita, mi commuove. La trovo sempre originale e diversa. In ambiti culturali più esclusivi trovo invece sempre delle persone con degli atteggiamenti stereotipati.”.

    Buona serata a te e alla prossima,
    Angelo.

  8. Il libro sul metro universale in poesia mi e’ arrivato… ne faccio un post per il blog a inizio novembre (dopo di che attacchiamo con Mr Biswas, tenetevi pronti) e poi un saggetto per lo statico… il libro va nella direzione del “pattern” universale dietro ritmo e metri… peccato che si fermi al non ancora esplorato funzionamento cognitivo del cervello umano: e’ questo basato sul ritmo o sulla stringa iterativa? il libro fonde i due approcci e riduce ogni metro della tradizione ad una griglia di costituenti base, proposti come universali…

    e non inaspettatamente, per me che ho difficolta’ con l’inglese, l’endecasillabo italiano viene valutato come “piu’ stringente” delle regole stesse del libro, vista la sua caratterizzazione tradizionale petrarchiana 6-10 o 4-10… molto interessante per i miei discorsi speculativi (nel “mi costruisco un sistema di pensiero e una poetica”)… talmente interessante che sto pensando di esaminare le mie poesie giovanili secondo questo metodo e magari proporre un paper………… oi, appena visto, ne parlano anche i lellovociani qui: http://lellovoce.altervista.org/spip.php?article1564 !

  9. Caro Pasquale Giannino ,mi chiamo alfonso Ottato sono nato a San Donato di Ninea e mi trovo a Roma dal 1974, ho avuto un brivido nel leggere i tuoi pochi ricordi del nostro caro paese e degli anni di piombo che purtroppo ho vissuto anche sulla mia pelle in prima linea nelle file dell’Arma dei Carabinieri, ricordi che non si cancelleranno mai dalla mia mente. in attesa di un contatto ti invio cari saluti. Alfonso ottato

Lascia un commento