Addosso alla dittatura mediatica! E poi scoprire di esserne foraggiati…

DUE ESEMPI DA MANUALE

EVELINA SANTANGELO: “A me non interessa il «messaggio» in sé, che sento parola pericolosissima, se brandita come una spada, né interessa (in assoluto) chi ha prodotto quell’opera e con quanti soldi (perché tutto ciò avrebbe a che fare con un altro genere di riflessioni e un altro genere di problemi, rilevanti, ma di natura diversa. Problemi, per inciso, che mi riguardano, certo, e mi toccano personalmente, avendo pubblicato anche io con Einaudi gran parte dei miei libri).”.

Evelina Santangelo, palermitana, domina con queste parole (tratte da un intervento a chiusura di questo post su Nazione Indiana, qui) la “dannazione”.

Quale forza, a monte della professoralità – che pasce a valle ruminante -, mi chiedo, dovrebbe possedere autore ed opera e per quale strada andare o quale spada brandire colui che ha fatto sfida al tempo con la popolarità vanesia del ruolo? Come può?

A me interessa il messaggio, da dove viene, e il suo effetto di trascinamento; la relativizzazione, snobberia della più bell’acqua, è una tana.

GABRIELE FRASCA: “Il mio rapporto con l’editoria è ambivalente. Mi trovo a lavorare sia per la piccola editoria che per la grande editoria, come per esempio può essere per Einaudi e in questo caso parliamo proprio del nemico perché Einaudi ormai è Berlusconi. Per altre cose, invece, cerco disperatamente di trovare altri editori e di lavorare in una maniera diversa per rifuggire alla massificazione che è inevitabile nel caso della grande editoria.

Il mio lavoro per Einaudi mi lascia totale libertà ma soltanto perché mi occupo esclusivamente di due settori particolari. Uno è la poesia. La poesia non vende e quindi sulla poesia non intervengono anche perché sarebbe inutile visto che il più delle volte le poesie non si capiscono. Il secondo sono le traduzioni beckettiane e lì si tratta di un’opera che già esiste e quindi non si può bloccare.

Credo, invece, che scrittori che lavorano per Einaudi, come ad esempio i Wu Ming, abbiano dei problemi ben più seri; penso che loro debbano rimanere per forza su un target, non potrebbero mai scrivere una cosa diversa da come la scrivono. Volendo metterla su questo piano, i Wu Ming si sono venduti da subito. […]

Ho scelto di non fare lo scrittore di professione, perché altrimenti non sarei stato libero, però, ovviamente, faccio il lavoro più vicino a quello dello scrittore, cioè insegno.”.

Gabriele Frasca, napoletano, sembra affiorare da una nicchia (qui, l’intervista da cui le sue parole), lavora o, come dire, tiene famiglia, scrive poesie, la poesia non è capita, traduce Beckett, un classico; pensa di farla franca. Di nuovo, come sopra, e con in più l’inserto moraleggiante per i teneri Wu Ming, nell’insegnante che scrive c’è conflitto fra idealità supposta e pratica realizzazione.

Insomma: estenuatezza, maestria nel calcolo alfanumerico, manualizzazione della parola.

Non scappa nulla alle menti brillanti che certosinamente e con pazienza fanno quel che c’è da fare. Senza il minimo sospetto che il tempo si perde.

***

Angelo Rendo, diritti riservati, ottobre 2009

6 pensieri su “Addosso alla dittatura mediatica! E poi scoprire di esserne foraggiati…

  1. Seguendo il link all’intervista di Frasca, ci si imbatte in una strampalata aritmetica, provare per credere.
    A’ Frasca, NON esistono stadi da 800.000 posti!
    S. Siro, a Milano, ha una capienza di 81.000 (ottantunmila) posti. Un decimo di quello che dice, blaterando, Gabriele Frasca. L’Olimpico, a Roma, ha una capienza di 72.000 (settantaduemila) posti.
    Ottocentomila posti equivale a tutto il pubblico pagante della serie A. E solo un sofista da due soldi potrebbe dire che la serie A non è pop perché ha “solo” ottocentomila spettatori paganti.
    Io dico che se uno scrittore riesce a raggiungere l’equivalente di tutto il pubblico pagante della serie A, la cosa ha un certo rilievo.
    Ma poi cos’è questo feticismo delle vendite, di cui Frasca da prova proprio mentre in apparenza fa il discorso contrario? Il discorso che si percepisce è: “Siccome non possiamo arrivare alle milionate di copie vendute allora tanto vale ripiegarsi nelle nicchie.”

  2. Salve, Andrea, gli 800.000 posti, evidente che è un lapsus.

    Nabanassar, ricordati di portarmi le arance con le lamette dentro, semmai, e il risarcimento!

  3. ma che fai… mi chiami nabanassar? c’ho la mascherina?

    saro’ un notabile anch’io………

    (ma non pubblico con einaudi e mi impegno solennemente a non farlo per il resto della mia vita)

  4. L’essenziale è che, riguardo alla questione del post, questione imprescindibile e basilare, si è arrivati al punto di fare spallucce, come se niente fosse, come se solo degli idioti potessero interessarsi alla coerenza di fondo.
    Il discorso che altrove si fa su “underground” e correlate sciocchezze è un discorso zoppo, storpio. Nella materialità più cogente mancano i presupposti perché si possa prestare ascolto a tutto il segmento emerso mestierato e politicizzato e pubblicizzato. Non c’è credibilità, ripeto. E non è possibile schiodarsi da questo loop fino a che il culturame non si assuma le proprie responsabilità. Di uomini.

  5. Guarda, la sola reale storpiatura che deriva dall’avere questi pupazzi come establishment letterario e’ che nessuno al mondo dotato di buon senso prende sul serio i prodotti italiani: ci hanno rinunciato, vedono tutta una melassa omologata (anche se la pronuncia negativa di ieri sul lodo Alfano ha positivamente scioccato mezzo mondo), di plastica.

    Peraltro, la chance ce l’hanno solo questi pupazzi, perche’ altrove il cursus e’ regolare, non alla rovescia come da noi; motivo per cui gli arricchimenti comunicativi, gli “exchange” come li chiamano qui, sono tra disperati (esclusi italiani vs stalentati esteri, specie in rete) o sono tra incongruenti (stalentati italiani ben introdotti vs crema estera). Questa e’ una perdita reale anche per noi.

    E’ infine vero che a livello di rappresentanza sociale, politica, noi teniamo a movimenti sempre piu’ comatosi, ridotti ad una assocazione culturale e poco piu’; e che dunque le idee in circolo sono assai limitate, narrative al livello di questi pupazzi fashion.

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