Tuccio Tagliabua, scrittore, amava essere a corto di idee. No che gliene fregasse non averne, era più per gli altri, che ne avessero gli altri, e basta, di idee.
Non conosceva nessuno al mondo, non conosceva altri scrittori, cosa volevano, perché lanciavano grida, facessero i seri, ritornassero al loro antico mestiere.
Un giorno, attraversando il ponte della Triste Usazza, inciampò su una trista pietra; e fu allora che si imbattè per caso – gli ruzzolò fra le palle, diciamo – in Rocco Il Neonatologo, neoteologo, il quale non parve degnarlo, come fosse stato un vituperato trattatista ebraico, mentre era proprio lui, lui il pacificatore estremo delle rovine, lo scienziato, e tante altre cose, persino il costruttore, l’operaio, il sanpietrino, il trattatista, e avrebbe dovuto capire.
