Masino passa una volta a settimana dal rifornimento, e mi porta sempre qualcosa: tenerezze, fagiolini o cipollette, per lo più. Oggi è un po’ giù, si siede sullo scalone, e si abbandona. Gli noto l’orribile doppio taglio in testa e il pesante e assai gonfio sacco – che sporge dallo scooter, pieno di tenerume – premere contro le ginocchia di lui seduto.
Sono dovuto uscire di casa, di corsa, perché sentivo puzza di morte ovunque, mi dice sereno; ero in cucina e sentivo puzza, in bagno puzza, in camera da letto puzza. Puzza di morte. Tutti questi giovani morti in questi giorni. Allora, meno male, ho preso la medicina e sono uscito, all’aria aperta. Ma io lo so il perché, è stato l’anno scorso che questa puzza ha iniziato a venirmi appresso, quando mi sono abbassato per baciare un mio amico morto, che faceva puzza. E la puzza mi durò nel naso per una settimana. Ma forse io la sento anche senza vederla ormai; la vedo senza sentirla. Meno male che prendo la medicina.