Dentro la libreria, nei pressi di Piazza Navona, c’erano delle commesse, tre, chiacchierone e vanitose; era tutto un dire questo l’hai letto e quest’altro, io ho Siti sul comodino e se lo dice Cortellessa; si davano molto tono, si pompavano, e disturbavano.
I due titoli del caso, dunque, non potevano che essere “Nello sciame. Visioni del digitale” di Byung-Chul Han, edizioni Nottetempo, libri poco curati nella veste grafica e cari nel prezzo, impaginati in maniera sciatta al punto da sembrare oggetti da rilegatoria, tesine e “Letteratura come utopia” di Ingeborg Bachmann.
Fin dove arrivano le scritture che si muovono per opposizioni, afferendo più a una critica del gusto che a una sentita epochè, volevo vedere.
Da una parte la verità, selettiva, esclusiva, implicita, che impegna il negativo, dall’altra l’informazione, cumulativa, additiva, esplicita, che tiene al positivo.
Il filosofo coreano delimita il campo di analisi conducendo una battaglia di retroguardia, affidandosi a una bibliografia minima, datata e scontata: McLuhan, Barthes, Linder, Le Bon, Hardt-Negri, Von Gehlen, Heidegger, Sartre, Lacan, Bredekamp, Arendt, Flusser, Schmitt, Hegel, Foucalt, Benjamin. Quel campo risulta patentemente massificato, rappresentazionale: un campo di apocalissi vestite.
La forma del pamphlet è appetibile, sfiziosa, persuasiva. Per professionisti della cultura, senza dubbio. Non appena lo apro e affondo il naso al centro, sento gli stilemi della castrazione.
“La società della sorveglianza digitale […] sviluppa tratti totalitari: ci consegna alla programmazione psicopolitica e al controllo.”
Byung-Chul Han scaglia i suoi modelli previsionali in preda ad un’ansia di nominazione, e di rimozione del caos; il suo orientamento filosofico è troppo schiacciato sul presente e dello sciame è l’ape regina.