Un cervello che pompa e allarga gli interstizi tutto intorno, di quell’uccello bilingue parlo. Esso si fa largo con gomiti e ali, ride, levita e s’alza dritto senza darlo a vedere, sposta le sedie.
Eccolo sulla cima del pino marino, dirimpettaio assolato; dal basso a braccarlo due cacciatrici armate, un cacciatore lo chiama fischiando alla pecoraia, un lieve venticello lo fa dondolare, l’afa lo secca. Sudato, non si preoccupa, tira il fazzoletto e tappa i gangli d’entrata, solo un brusio lo afferra.
Rieccolo allora sospendersi su un ancor più alto pino marino alle mie spalle, all’ombra. Aggrinzendosi rilascia il suo umore più dolce e sieroso, salato.