Mi costruisco un sistema di pensiero (e una poetica)

[Ennio Abate ha ripescato un mio vecchio intervento teorico del 2001 e lo ha riproposto su Moltinpoesia. Lo ringrazio. Ripropongo qui, per completezza e in file .pdf gratuito, l’altro contributo di pensiero e di poetica che mi rappresenta. GiusCo]

“Di partenza sto sul versante Quine, nel filone delle “Ricerche filosofiche” di Wittgenstein.”

“È inutile, nelle mie attuali condizioni di vivente immerso in un così chiamato secolo Ventunesimo dell’era cristiana in Europa Occidentale, fare il vareliano: posso tranquillamente cavarmela con le simulazioni: mi basta imitare e modellare la fenomenologia osservabile, sicuro di ricavare un quadro già fedele anche per i nostri scopi letterari; gli affinamenti successivi e il senso complessivo li lascio a studiosi di professione. Resta da definire a cosa può servire la poesia, collocata negli strumenti a forte capacità induttiva più che simulativa.”

“Le teorie cambiano all’aumentare della penetrazione logica (che mano mano accantona le vecchie teorie, aprendo alle nuove, che a prima vista possono anche sembrare del tutto nuove) ma l’aspetto relazionale di fondo, quello che le teorie sottendono, rimane lo stesso, e quello è il limite conoscibile: è l’aspetto relazionale del mondo esterno ad essere indagabile, non il mondo esterno in sé. Le teorie parlano delle relazioni e non di cosa è il mondo esterno.”

“Scrivere in informatichese (partendo cioè da un sistema sintattico) afferma una scelta razionale: la superiorità della sintassi sul segno o, meglio, la riducibilità del segno alla sintassi o, ancora, la valenza nella sintassi prima che nel segno. Tornando all’Eco citato da Marchese e dunque alla poesia: le parole sono scelte dal ritmo; ovvero, economicamente: le stringhe sono scelte dalla sintassi, rigettando l’ermeneutica e la storia delle singole parole. Rimanendo sul piano della sintassi, le neuroscienze sembrano confortare: il cervello pare strutturato sintatticamente, non ritmicamente.”

“E il lettore? A lui conoscere e condividere l’enciclopedia delle sintassi, dopo di che ragionerebbe sulle stringhe. L’adozione della “stringa economica” quale natura base dell’espressione poetica, circoscriverebbe la poesia al modo di dire le cose senza parole inutili e costituirebbe un punto d’arrivo fisiologico prima che pragmatico. Ermetici (iniziati), gnostici (esiliati), alchimisti (simbolici), ermeneuti (interpreti), sociologi (giudici) sarebbero tutti fuori gioco, giacché nel mondo fattuale regna il principio di economicità, rigidamente ma liberamente sintattico, agonistico, comparativo rispetto alle isotopie possibili e precedente le elaborazioni della pragmatica.”

scarica la versione completa in formato .pdf:
Mi costruisco un sistema di pensiero (ed una poetica) 3.0, marzo 2008

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17 pensieri su “Mi costruisco un sistema di pensiero (e una poetica)

  1. Questo saggetto e’ una chiamata a raccolta di soggetti interessati ad approfondire professionalmente gli aspetti teorici e pratici di una poesia su base razionale; astenersi perditempo: ermetici, gnostici, alchimisti, ermeneuti, sociologi, lirici, comunitari e slammatori, grazie!

  2. Insomma, la sovrastruttura spira e tutto avvolge…

    Questo tuo manifesto di poetica, o sunto alla buona da corso universitario, trovo si sarebbe potuto re-stringere sintatticamente alle ultime 13 righe.

    Comunque, riflettevo in ordine sparso:

    1 – Io non sono per nulla certo che la costruzione passi per un ben definito sistema di assunti filosofico di costretta e personale pragmatica.

    2 – Un sistema di segni è per sua stessa natura un sistema dialettico-sintattico. Non comprendo dunque l’aut-aut: (“Scrivere un sistema sintattico (da cui stringhe di elementi accettabili o non accettabili) o un sistema di segni (associando il sistema sintattico a stringhe di un altro sistema, magari più tradizionale)?”.
    Come se alla sintassi non si arrivasse dal ritmo!

    3- In sostanza mi pare tu voglia definire una grammatica della lingua poetica; cioè ricerchi una norma passando lungo la via “razionale”, laddove un altro fa senza fare, ovverossia cerchi un perno.

    4- Fai una piatta sintesi del Marchese, il quale credo ebbe una visione della poesia molto più complessa rispetto a ciò che tu ne arguisci, cfr. questo http://www.libreriadelsanto.it/libri/8821306283/il-senso-della-laicita.html

  3. rispondo per punti:

    1- gli assunti me li do io e vedo cosa viene fuori da quelli, eventualmente si ampliano o restringono ulteriormente; il punto e’: tu parli o sei parlato? se parli, hai una base (sovrastrutturale) che puoi scomporre ed esplicare in termini logico-razionali; se sei parlato, chiudiamo la discussione perche’ discutere non ha alcuna utilita’;

    2- un sistema sintattico e’ tale se le sue stringhe funzionano o non funzionano; la dialettica e’ lo scarto rispetto al puro funzionamento. Allora lo schema e’: costruisci qualcosa che funzioni nel suo specifico e produca anche uno scarto rispetto al suo stesso codice interno. Cioe’, per esempio, il programmetto informatico che di per se’ funziona se messo nel computer, ma allo stesso tempo esprime una narrazione riconoscibile dialetticamente; e cosi’ altri esempi scartando da altri codici (matematici, tecnici);

    3- esatto, stabilisco io la grammatica, prendendola da base tecnica o scientifica, e provo a scartarla; torniamo al punto 1: se parliamo, e’ un esperimento interessante; se siamo parlati, non lo e’. Il punto e’ che io non credo che siamo parlati, ma semplicemente che approssimiamo il nostro parlare in modo talmente sintetico da perdere tutto il codice razionale che gli sta dietro (forse perche’ lo diamo per scontato o condiviso?). Per cambiare riferimento: un po’ come la sequenza del DNA o l’osservazione al microscopio dei cristalli di un metallo; sappiamo che il DNA “funziona” e da’ origine a forme di vita tra loro diversissime a grado piu’ o meno elevato di complessita’ (secondo il numero e il tipo di interazioni tra diverse macromolecole, che pero’ tutte sono basate sulle quattro “lettere” del codice nucleico che fra loro si assemblano); ma la base sono le quattro “lettere” del codice nucleico e il loro modo di assemblarsi e’ puramente economico, criterio di minimo dispendio di energia. A me piacerebbe fare lo stesso in ambito poetico, cioe’ prendere a riferimento grammatiche e basi biologiche, matematiche, fisiche, ingegneristiche ed analizzarne le strutture, proponendo poi degli scarti a valenza narrativa (scarti che la natura non accetta perche’ antieconomici).

    4- Del Marchese ho certamente un’idea minima, quella che interessa a me come metodo pratico trovato nel librino che ho letto, che peraltro e’ un’officina, quindi ragiona di metodo facendo esso stesso sovrastruttura. Grazie comunque del riferimento, mi procurero’ il libro. E grazie del commento.

  4. Nutro perplessità grande sul “sovrastrutturale”; non mi pare la direzione giusta.
    D’altra parte non credo abbia senso distinguere in parlare/essere parlato. La sostanza non sempre è percepibile.

    Poco sopra, intendevo dire che è il ritmo a governare la sintassi. E tu ti stai approssimando al tuo, di ritmo.

    Ma perché, poi, hai bisogno della narrazione per i tuoi scarti? A quale scarto conduce un simile agire? In quale direzione va? Cosa prefigura? Ha ancora onnivalenza la stringa poetica? O soppravviene una rigidità? La poesia si sfalda in teorematica?
    E se quella che tu chiami poesia divenisse formulario robotico, di indicazioni e ordini senza rimandi? E se realmete ci si trovasse di fronte a una neolingua, ma unica? Dotata di una sequenzialità priva di sfumature?
    Ho l’impressione che il sapere più imo si perda, non trovi forme.

    C’è in questo codice indubbia originalità, ma non sappiamo cosa sia capace di trasportare o portarsi addosso. Potrebbe essere un germe di nuova lingua, dicevo. In tal caso, profetico, sarebbe poesia, o meglio lingua, dell’avvenire. Per ora solo lingua settoriale, operativa, di esperimento…

    (…continuo)

    Posterò al riguardo un articolo dal “Sole 24 Ore” di ieri.
    Ora scappo. A dopo.
    Ciao.

  5. Tutto giusto; rischio volentieri e consapevolmente di “disperdere” parte del dicibile (o della mia voce) in gabbie abbastanza rigide, ottenendo pero’ in cambio tracciabilita’ e riproducibilita’ dei risultati. Ho smesso di scrivere in italiano perche’ ne sono parlato (dai sedimenti dei significati condivisi, dalle tradizioni ma ognuno la propria, dall’ambiguita’ semantica delle continue evoluzioni, dai codici comportamentali che regolano anche la scrittura poetica (forse ricordi le discussioni con Baldi sul sangue vero sulla carta, quando ci fece “oscurare” i nomi), non ne avevo piu’ il controllo della forma.

    Vediamo ora e per qualche tempo fin dove lo scarto della scrittura codificata rimarra’ condivisibile, anche se appare robotico come dici tu. Sperando che altri si inseriscano, il saggetto ha forma di bignami, proprio per dare le coordinate di lettura e la mappa completa all’eventuale interessato. Se l’interessato e’ un tecnico/scienziato duro (matematica, fisica o ingegneria), allenato al metodo, puo’ essere piu’ facile remare coordinati.

    Continueremo… intanto aspetto l’articolo. Torno al lavoro anch’io. Bye.

  6. UNA COSCIENZA RABBERCIATA
    di Roberto Casati

    Non so bene come tradurre al meglio “kluge”, (o “kludge”, secondo un’altra grafia), slang americano di origine informatica che indica “una soluzione goffa o poco elegante di un problema”. “Rabbercio” probabilmente vi si avvicina più di altre parole, anche se forse non fa bella figura su una copertina.
    Ma tant’è, il punto dei rabberci non è quello di impressionarci per la loro eleganza.
    La tesi di Marcus, psicologo della New York University, è che è giunto il momento di riconcettualizzare seriamente la mente umana come una serie di rabberci, tracce lasciate dalla storia durante l’evoluzione. Se non siete d’accordo, probabilmente fate parte di una delle tre categorie seguenti: siete degli economisti che cercano ostinatamente di vedere negli umani degli implacabili massimizzatori di utilità, o dei neocreazionisti che non possono accettare l’idea che il cosiddetto “progetto” non sia poi tanto intelligente, o degli evoluzionisti estremi che pensano di poter giustificare ogni tratto come adattivo. Ma rassegnamoci all’evidenza.
    Un esempio: la retina ha i recettori fotosensibili rivolti verso l’interno e non verso l’esterno, e quindi i collegamenti con il nervo ottico devono passare “davanti” e fltrare la luce, come se una fotocamera avesse i cavi davanti all’obiettivo ( e il risultato è la macchia cieca, cui il cervello rimedia a posteriori con un software che la cancella riempendola di un colore che approssima quello rilevato intorno a essa). Solo un ingegnere ubriaco avrebbe potuto progettare un occhio così.
    La lista dei rabberci è lunghissima. Il rabbercio che tiene insieme la memoria umana è il centro cui (purtroppo) fanno riferimento molti altri. Sarebbe molto comodo avere una memoria che assegni a ogni ricordo un indirizzo e ci permetta poi d recuperare i ricordi andando a vedere il loro indirizzo (come fa il mio Pc, che non sbaglia mai). Invece la nostra memoria è organizzata per tratti salienti, con il risultato che quando lanciamo la ricerca di un ricordo devono rispondere tutti subito all’appello, e si fano trovare solo quelli che per una ragione o per l’altra sono più “caldi” (più recenti, meno sovrapposti ad altri, più stimolati dal contesto). Se non vi ricordate dove avete messo le chiavi dell’auto è perché mille altri ricordi in cui le mettete al posto giusto nel cassetto si fano avanti e interferiscono con il ricordo utile di ieri mattina, e non a caso i piloti di aerei non si affidano alla memoria, ma alla checklist, per tutte le operazioni preliminari (proprio perché le hanno fatte cento volte, rischiano di ricordare falsamente di averle fatte oggi).
    Velocità e sensibilità al contesto hanno probabilmente aiutato i nostri antenati a rispondere a mille emergenze e conferito loro un vantaggio evolutivo; ma da un lato non sono adatte a una vita che richiede ponderazione nelle scelte, e d’altro lato sono facilmente manipolabili.
    Altri rabberci si manifestano in tutti i comportamenti in cui manifestiamo un’intelligenza nettamente inferiore alle norme razionali: siamo afflitti dalla ricerca di elementi che confermano i nostri pregiudizi, da un autocontrollo inadeguato, dalla sensibilità delle nostre risposte al modo in cui vengono formulate le domande, dall’illusione di tenere sotto controllo eventi casuali, e da particolari idiosincrasie, come un linguaggio impreciso e ambiguo e l’estrema vulnerabilità a vari tipi di disordine psichico.
    La mente non funziona bene perché non è stata progettata per funzionare bene, e anzi non è stata progettata affatto: è una congerie di rabberci a problemi specifici, che una volta “scoperti” dall’evoluzione hanno di fatto impedito di scoprire soluzioni più eleganti.
    Marcus scrive con grande agilità e ha il merito di aver proposto un quadro unitario in cui inserire le diverse limitazioni della mente. Il libro lascia un po’ il tempo che trova nella breve pars construens, e questo in fin dei conti non lo distingue da una pletora di libri recenti sui limiti della razionalità, limitandosi a segnalarci delle tecniche per ragionare meglio che sembrano richiedere, a noi tutti rabberciati, più di quanto non possiamo umanamente dare.

    * Gary Marcus, “Kluge: The Haphazard Construction of the Human Mind”, Houghton Mifflin, pagg. 212, $ 24,00 (in corso di traduzione per Codice edizioni)

  7. Hai ragione.
    Credo però che non siamo più nel campo della letteratura.

    Pensi che ci voglia una particolare disciplina nell’accogliere/ contenere/rintuzzare/distillare/ la “voce intraparlante”?

    Resto convinto che la partita si giochi altrove.

    Buona notte.

    P.S. Mi refreshi la discussione con Marziller? Al momento non ricordo.

  8. Piu’ che altro si spera che una testa quadra non sia innamorata della parola, ma riesca a guardarla come un provino da laboratorio… i miei “colleghi” attivi in rete dimostrano invece che i retaggi del poetichese, specie in chi lavora in tutto un altro settore, sono ancora piu’ marcati che in voi umanisti di professione; aggiungici la generica provenienza piccolo-borghese e la ricerca di riscatto sociale negli studi numerici, senza capirne un’acca dei fondamenti… ed ecco che di “original thinkers” non intravediamo nemmeno l’ombra.

  9. Boh, se stai sull’onda, la subisci e la governi, non puoi pensare solo di governarla, notomizzarla. Ragionar per principio mi pare solo rivendicazione. Se ciò può bastare…

    Distenditi e buon lavoro!

    Ciao.

  10. Il pezzo che hai riportato e’ interessante; nella gabbia in cui opero, interessante significa: perche’ no? E’ una teoria come altre, un modo diverso di vedere la cosa; certo, una volta affermata l’idea (siamo un rabbercio), il succo finisce e morta la’, a che servono 200-300 pagine? A trovare altri che seguano e testino ulteriormente quella strada, facendone motivo di discussione non solo specialistico… 😀

  11. E infatti un’altra base di partenza era: se io e te scriviamo la stessa poesia, esattamente la stessa, abbiamo una o due poesie? Sicuramente due! Ecco che l’apparato strumentale duro vorrebbe discutere e circoscrivere, rendendolo riproducibile e comune a tutti, lo strato che differenzia lo stesso testo scritto da me e scritto da te. Essendo impossibile farlo con l’italiano, tocca partire da basi (lingue o linguaggi) meno complesse e meno “scartate”, sulle quali se io e te scrivessimo la stessa “poesia”, quella tenderebbe ad essere una e non due. Dopo di che diventerebbe molto interessante analizzare e seguire quando, dove e come gli “scarti” iniziano a divergere e su quali elementi del testo, tornando mano mano dalla base robotica all’italiano condiviso.

    Tutto era e, per ricordare un tuo titolo del passato…

  12. Non credo sia appannaggio dell'”apparato strumentale duro” discutere e circoscrivere. E’ una distorsione. Credo invece manchi la volontà/capacità del “distanziamento”. Molti nodi/intrecci tengono in scacco l’intelligenza. Questioni di “comodo”.
    E quando non si riesce a sciogliere il nodo, l’ uscita di emergenza è pronta sul vassoio.

    Due poesie che tendessero a una: beh, pensiero unico, ordinato, automatico. Il tuo sogno, la tua calza, automa! :-))

  13. L’apparato strumentale duro e’ il solo a garantire che tutti e quattro i passaggi (osservazione –> ipotesi –> esperimento –> conclusioni) non siano inficiati da espedienti retorici d’autorita’, morali o emotivi. Non scriveremmo la stessa poesia neppure se condividessimo il metodo, visto che esprimeremmo comunque una preferenza per alcune o altre relazioni. Pero’ condivideremmo molto, moltissimo, e davvero potremmo parlarci.

    Ok, puoi cambiare post! 😀

  14. La “ragione depurata”, d’accordo. La garanzia non sta in un metodo intrinseco ad un modo, piuttosto in una pratica circoscrivibile ed esatta senza la cura della provenienza.
    Voglio dire: quello che tu dici pertiene ad una natura più che a una sovrastruttura.

    Bene, cambio l’acqua al canario 🙂

  15. Be’, la ragione non aggiunge nuova conoscenza; sono le ipotesi e gli esperimenti cio’ che sta di umano nel metodo, cio’ che quindi puo’ produrre un avanzamento a partire dall’osservazione, dall’induzione o dal semplice star provando qualcos’altro, come a volte accade. Idem con patate nel nostro discorso specifico: molto c’e’, altro proviamo a vedere se puo’ starci. Buon weekend.

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