Una estenuazione, la stessa che in fondo ha segnato il fallimento della mia presenza in rete. Il profondamente leso e oramai irrecuperabile dovere al silenzio quando non si hanno il talento, la conoscenza e la rappresentanza necessari ad esprimere un parere. Parere ormai confuso con la doxa del consumatore. L’ “autismo corale” (cit. Arminio) avrebbe infine ucciso la poesia, la limitazione progressiva dello spazio illuminato. Nel momento in cui tutte le opinioni valgono uno e sono equiparate a sentenze passate in giudicato, il fondamento su cui si basa il lavoro di fare luce, lavoro che spetta a chi di di quelle sentenze non si fida, viene irriemediabilmente compromesso.
Sostituendo l’ideologia al talento, il comunitarismo alla capacità, l’apparato al gesto verticale, si preferisce l’oscuro alla luce. L’opaco. Il diritto naturale, feroce, primitivo, dello stato militare a quello democratico rappresentativo. Affogare la razionalità cosciente in una frenetica (e vana) pulsione, flusso termodinamico che infine smonta ogni forma di complessità a calore. Che smonta l’umano, come lo conosciamo in forma europea occidentale da sei secoli a questa parte.
Questo per dire che rimane artisticamente leggibile solo “il primo amore”, mentre di eticamente apprezzabile resta “la dimora del tempo sospeso”.
E si pone un problema, che poi e’ quello di ogni morale: cosa resta ai figli se viene tramandata la massa di ciofeche nazionali quali “nazione indiana” e “lipperatura” o di malafede come “carmilla”? E che fine faranno gli spazi dei decenti, gente come Guglielmin, Cerrai, Fabbri e in diverso grado Lucini e Aglieco?
Non sto neppure considerando l’oceano di intrattenimento, il mare di riflussi che avvolge le poche terre emerse. Quando per la prima volta non c’e’ necessita’ di un luogo fisico per lo scandaglio, insomma, l’antenna impazzisce.
Dài, cuervo, metti dentro quel batacchio, e vedi di procurarti un manuale bernacchiano, fidati! 😉