L’infanzia quale dimensione assoluta di libertà e incanto, senza condizioni, senza eccezioni, senza tempo.
DIEGO DALL’OSTO
Nato a Roma nel 1961. Vive e lavora a Barcellona.
Compositore di musica contemporanea. Suoi lavori sono stati eseguiti in rassegne e festival internazionali quali: Festival Antidogma, Torino; Musica oggi, Vicenza e Thiene; Di nuovo…, Reggio Emilia; Computer Art Festival, Padova; Ferienkurse fur Neue Musik, Darmstadt; Festival Spazio Musica, Cagliari; a Venezia la Biennale, il teatro La Fenice, Fondazione Cini; MusicaOggi, Società per la musica nuova, Praga; il Festival de musica electronica italiana, Madrid, Festival de musica electroacustica, Rosario (Argentina).Ha scritto musiche per la danza che sono state eseguite in importanti teatri (Teatro Olimpico di Vicenza, Teatro Alcione di Verona, Teatro Valle di Roma, Baadisches Staatstheater di Karlsruhe, Göteborg Opera House, Festival El Grec a Barcellona, Royal Opera House Covent Garden, Frankfurt Ballet, Lucent Teather di Amsterdam, Teatro de la Zarzuela di Madrid, Teatro di Anversa, Det Kongelige Teater Kopenhagen, Stadttheater di Berna, Aspen SantaFe Ballet – USA, North Carolina Dance Theater – USA, …)
Tableaux vivants [1]
alla ricerca del futuro perduto
pastiche di parole senza atto
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Primo Antefatto (Retroscena)
Nel retropalco, invisibile agli spettatori, una serie di immagini (riprese da una videocamera e proiettate intorno agli spettatori):
La prima è un notturno a Modica (RG), Corso Vittorio Emanuele, finestre della Galleria Laveronica: al di là della prima finestra si intravvede parte di un quadro dove dominano il verde e accenti di rosso, si intuisce un movimento in caduta; accanto, sul muro bianco, il frammento di una scritta al neon -amo per chi- ; la seconda finestra inquadra parte di una costruzione in faggio naturale, una gabbia.
La seconda immagine mostra una scalinata sulla strada di un paese siciliano, si intravede di lato un piccolo cortile con un carrubo, di notte; aria di festa al suo volgere.
Una terza immagine agisce come una lente d’ingrandimento sulle parole: Qui si tratta di altro …tiene enigmaticamente insieme passato e futuro… …con un “suono” diverso…
La quarta immagine è una foto de L’uomo stella (Francesco Lauretta, 2006).
La quinta immagine mostra dei bambini che corrono incontro al mare. Nello spostamento orizzontale dei corpi dalle gambe leggere, senza gravità, le loro ombre si mutano nel riflesso sulla superficie d’acqua senza profondità.
Le immagini sono disposte in sequenza, su di un fondale bianco, come fotogrammi; vengono illuminate l’una dopo l’altra, a ritmo scostante. L’insieme produce l’effetto temporale della dilatazione, del restringimento, dell’accelerazione, del ralenti; come la velocissima successione dei finestrini illuminati di un treno in corsa. Suoni in presa diretta sulla realtà sonora, che cattura contesti infantili, sciacquio, battiti dal rumore metallico.
Secondo antefatto
Luce a giorno.
Tutta la scena è occupata da un’immensa tela distesa orizzontalmente sul piano, dal proscenio al fondo del palcoscenico, che lascia scoperto il muro. La tela viene alzata e dispiegata a riempire completamente il boccascena.
Bambini corrono su di un piazzale assolato, che occupa la metà inferiore del quadro. Il bianco immobile e materico del suolo è mosso solo dalla luce, e le ombre delle figure provocano dei mancamenti, una sorta di cedimento del terreno. La metà superiore è colmata dall’azzurro del cielo, che presta una esigua striscia di sé al mare. Dettagli urbanistici sobri e verticali sembrano vegliare sul movimento delle figure. L’azione si svolge altrove, i bambini vivono un accadimento senza finalità. Lo spazio tra i loro corpi e il suolo assolato incarna la sospensione della loro condizione, lieve.
Lungo la linea di ribalta una scritta al neon, in corsivo: Il più bel quadro della nostra vita (2007).
Buio
[1] Pressoché nulla di quanto qui espresso è mio, tranne movimento e direzione impressi agli sguardi e alle voci, ovvero raccordi e montaggio dei pensieri. L’insieme assume per così dire una luce diversa, che muta i rapporti tra le parole incontrate, che hanno catturato la mia attenzione; un tradimento volontario dei frammenti originari, un po’ come nel lavoro di Francesco Lauretta. Gli amorevoli furti sono stati perpetrati ai danni di: Roland Barthes, Giuseppe Bartolucci, Samuel Beckett, Walter Benjamin, William Blake, Diego Dall’Osto, Giorgio De Chirico, Valeria De Simoni, Georges Didi-Huberman, Enrico Ganni, Elio Grazioli, Peter Handke, Furio Jesi, William Kentridge, Søren Kierkegaard, Francesco Lauretta, Filippo Tommaso Marinetti, László Moholy-Nagy, Giulio Paolini, Roberto Pinto, Marcel Proust, Rainer Maria Rilke, Rosamaria Salvatore, Peter Szondi, Karine Winkelvoss, Teresa Zuccaro.
[…]
Quinto fotogramma: Pittura fotografia film
A.: Chi ha inquadrato i bambini ha ricreato il reale. Lo ha spostato dal suo luogo di origine.
Spetta ai fotografi, archeologi della superficie, estrarre dall’abbondanza infinita un pezzo d’esistenza, un frammento che staccato dal disordine diventa nuovo, puro, mai visto.
B.: Il ritratto della fotografia è il loro riflesso luminoso; non costituisce la loro nascita, l’origine della loro esistenza è nei colori della pittura. Nei gradi dell’ombra e non nelle cose in sé, risiede la loro beltà.
A.: Ma prima vi è una camera oscura: dove la luce diventa forma, crea oggetti, o meglio, dove tra le infinite possibilità delle immagini del mondo esterno una ne viene scelta.
B: Tuttavia la scatola nera è anche la scena, oltre che la memoria dei dati prima di un disastro.
A.: Un fotogramma, piuttosto che una fotografia?
B.: È così. L’immagine è fotogramma di una sequenza. Non è immobile, ma anello tra un prima e un dopo… dove la luce ha un ruolo fatale e come di premonizione, di un idillio assoluto o di catastrofe imminente.
A.: Come ne Il vaso rotto?
B.: Sì, in un certo senso, una tela come schermo.
A.: Anche per questo stasi e movimento non possono scordarsi.
B.: Sono accordati, e la luce è la manifestazione di questo movimento. Questa pittura va incontro ad un destino; il movimento è duplice: lo riporta al suo punto d’origine e lo proietta in avanti, nel futuro.
Le visioni vengono ingigantite – come accade ai ricordi d’infanzia – e impreziosite – come solo il passare del tempo è capace di fare…
A.: E la realtà?
B.: Le realtà premono sempre per essere vissute. Sono lente e indescrivibilmente particolareggiate. Si infrangono e si rivelano nella grana della pittura.
Le cose grate e pronte a servire vogliono portare i nomi che l’artista dona loro. Sono come bambini che ti implorano di portarli in viaggio con te: non comprenderanno tutto, ma migliaia di impressioni casuali e distratte si faranno semplici e belle sul loro viso. Così desiderano essere le cose di fronte alle confessioni dell’artista, quando egli le sceglie a pretesto della sua opera. Tacciono e insieme svelano.
Ma bisogna cercare di avvicinarsi alla realtà muovendosi da direzioni diverse, sperando che quel nucleo di verità profonda non se ne sia già andato via…
La réalité ne peut exister en peinture,
car en général elle n’existe pas sur la terre.
Sesto riflesso: Infanzia = pittura
A.: Se l’arte si presenta come una concezione della vita, come si distingue da altre concezioni?
B.: Non è la semplice risultante della propria epoca, bensì appare come la visione del mondo delle cose ultime. Se supponiamo di tracciare in uno schema grafico circolare le diverse concezioni della vita sul piano del futuro, l’arte sarebbe la linea più lunga, il segmento della circonferenza che ci appare diritto, dato che il suo raggio è infinito.
L’artista attraversa i secoli giovane, perché guarda avanti.
A.: Questo modo di essere, questo dispendio continuo di tutti i valori mutevoli ha qualcosa di ingenuo e di istintivo e somiglia a quel tempo dell’inconsapevolezza il cui miglior segno è una felice fiducia, l’infanzia. Non è la dimensione del passato, ma del futuro. L’arte è infanzia, è non trovare mai nulla di compiuto.
B.: Nessuna cosa è più importante di un’altra nelle mani di un bambino. Gioca con uno spillo d’oro o con un bianco fiore di campo. Stanco, li lascerà cadere entrambi senza cura e dimenticherà come gli erano apparsi splendenti rischiarati dalla sua gioia. Non conosce la paura della perdita. Per lui il mondo è ancora il bel guscio entro cui nulla va perduto. E percepisce come sua proprietà tutto quanto gli è capitato di vedere, di sentire, o di udire. Tutto quel che una volta ha incontrato. Non costringe le cose ad insediarsi. Come una schiera di scuri nomadi le cose passano tra le sue mani sacre come attraverso un arco di trionfo. Per un istante si illuminano nel suo amore e poi di nuovo si oscurano rientrandovi. Ma devono attraversarlo. Ciò che una volta risplende nel sentire, vi rimane in immagine e non va più perduto. L’immagine è un patrimonio.
A.: E perciò i bambini sono così ricchi. Ma la loro ricchezza è oro grezzo, non moneta corrente. Così o il nuovo diventa il baluardo che protegge una parte dell’infanzia, oppure diventa il marchio che l’annienta in modo spietato.
B.: O l’artista diventa ragionevole ed entra nell’ordine del suo tempo, oppure matura semplicemente. Se il futuro parla attraverso di lui, la sua epoca non sa come valutarlo e in questo esitare lo perde; e il cuore alato di lui sbatte ovunque contro le mura dell’epoca. Un danzatore il cui movimento si infrange contro le pareti della sua cella.
A.: Qualcuno che diviene, nello spirito di tutti i tempi.
B: Perché l’immagine di forma e colore trasfigura l’esperienza ma anche, nell’audacia della perdita e dello spreco, la acquisisce per sempre. Solo quel che non è costretto ad insediarsi rimane.
He who binds to himself a joy does the winged life destroy, but he who kisses the joy as it flies lives in eternal sunrise.
Noi passiamo, e mi sembra che tutti siano distratti e occupati e non prestino la giusta attenzione al nostro passare. Come se cadesse una stella e nessuno la vedesse e nessuno formulasse per sé un desiderio.
Luce gialla
A.: Questa infanzia è la pittura?
B.: No, ma ne è figura. Un’infanzia assolata, dove sempre risuona un luogo e il colore sposa un suono sempre diverso: un presente sonoro e dagli occhi rovesciati, quel frammento del tempo dove il passato si trasforma, o si rovescia, in futuro.
È il tempo con la sua leggerezza, che entra ed esce di scena…
Dire, tradurre in parole l’immagine di un dipinto è impresa sempre delicata, o persino disperata.
E anche avere ricordi non basta. Si deve poterli dimenticare. E avere la grande pazienza di aspettare che ritornino.
(Agosto/Settembre 2010, Pozzallo, Argentario, Parigi)
Cristina Grazioli