Dallo stretto occhio della finestra, le lame giravano il capo, sulla sedia. Sopra il collo, un sottile dito misurava i denti in fila. La casa illuminata deponeva due uova in un cesto e uno in macchina. Nevicava. La zona dove sorgeva il Bollo era recintata da quindici zampette di mosche, alle quali il guidatore disse: “Staccatevi!”
Ma con poca parsimonia il giorno svettò tra le cime e, posato, fingeva di non vedere la macchina.
O l’essere distrugge l’indistruttibilità, navigando lungo il mare Bollito o la carne compressa tutta nella parola irrealizzata crea il fondale.
E dal parcheggio perché mai non dovresti seguire fino a farti strozzare il giro armonico? Come essere sicuri che qualcuno, levigandoti il cranio, non trapasserà nell’occhio svisto?
Alla marillottesca finascia di lempi fosse rani e volenzine latre e nel minole fretti de la sosca vancia libberità minuna na la fanta lua ca fracisca e la no di nostra zonca zunca lunca di sta funcia o ni la minchia duna crinnica beli.
Me lo dissi, me lo disse lui che avanti si ricomponessero in anfratti, smagati, l’indole grumosa avrebbe preso loro, loro: la più sicura forza del rame rilucente.
A. R., diritto riservato, marzo 2010
Pubblicato su carta a Settembre 2012 in La superpotenza, venti anni di poesie, scritti e traduzioni da G.Cornacchia e A.Rendo, ISBN 9788891027474