Finalmente un articolo che dice come stanno le cose: lo trovate in allegato. Perché la vicenda dei seicento ricercatori milanesi (di cui faccio parte anch’io, ma questo è solo un dettaglio) è emblematica di un discorso molto più ampio. Io lo tratto da alcuni anni nei miei racconti e nei miei interventi virtuali, autorevoli studiosi lo avevano anticipato molto prima di me: la deindustrializzazione dell’occidente. Che l’Italia poi sia più “avanti” di altri in questo campo non meraviglia, visto il fior di classe politica che dobbiamo sopportare. È colpa della crisi… La crisi un par de ciufoli. E forse ha perfino ragione la vecchia volpe di Arcore: il peggio è passato. A livello finanziario però. Bisogna chiarire di cosa stiamo parlando. Se avete fatto degli investimenti sbagliati – non per colpa vostra, per carità, ma di qualche imbonitore in giacca e cravatta che se non vi truffava perdeva il posto – se vi siete ritrovati della carta igienica al posto dei vostri risparmi e avete avuto la forza di resistere, forse fra un po’ riuscirete di nuovo a respirare. Se siete dei lavoratori presso una ditta colpita dalla crisi – quella vera, intendo dire una ditta che non ha più ottenuto finanziamenti dalle banche – se avete avuto il culo di non finire in qualche lista di proscrizione forse la busta paga in qualche modo riuscirete a salvarla. Ma quando parliamo di un colosso multinazionale che ha i soldi che gli escono dalle orecchie – e pensa bene di sfruttare l’onda della crisi per accelerare i suoi piani di delocalizzazione verso i paesi dove ancora è ammessa la schiavitù del lavoro (non solo manuale) e imprimere una crescita esponenziale ai suoi margini – beh, a questo punto l’emergenza non è più economico-finanziario ma diventa sociale. E la responsabilità non è tanto dei top manager che tutto sommato fanno il loro mestiere, ancorché vomitevole dal punto di vista etico (ma esiste ancora la parola “etica”?). La responsabilità è politica. Perché dietro quei seicento ricercatori ci sono seicento famiglie che dall’oggi al domani sono state costrette a reinventarsi la vita. Dietro quei seicento specialisti sfigati ci sono seicento progetti esistenziali andati in fumo. Questo sta accadendo nel paese, e il peggio deve ancora arrivare. Le potenze transnazionali in procinto di abbandonare l’Italia dopo averla spremuta come un limone sono tante. E nessuno può fermarle. Non esiste nessuna legge che tuteli non dico il posto di lavoro ma la dignità di quei seicento impiegati e delle altre migliaia che verranno. La responsabilità è politica. Ma come, vieni in Italia, ti permetto di accedere ai finanziamenti, ti offro i migliori cervelli del paese, li selezioni, li utilizzi al meglio per aumentare i tuoi profitti fino all’inverosimile… e a un certo momento li pianti in asso perché c’è un altro posto nel buco del culo del mondo che ti offre gli stessi cervelli praticamente gratis e senza nessuna tutela che si possa neanche lontanamente definire civile? Ma come si può tollerare un sistema così! Oltre a essere moralmente inaccettabile è proprio da fessi tollerarlo un sistema del genere. Santo Dio, tu vieni in Italia a fare i tuoi porci comodi, va bene, ti do i finanziamenti, ti do carta bianca ma tu mi garantisci un piano industriale da qui a dieci anni. Altrimenti fora d’i ball…

Pasquale, passo per un saluto solidale, ti scriverò con calma in privato.
un forte abbraccio a te e a chi ti ospita
jolanda
Grazie Jolanda, ricambio l’abbraccio e -soprattutto- la solidarieta’ a Pasquale. Non credo che i ricercatori pretendano ponti d’oro, anzi… spesso sono persone che si accontentano di vivere dignitosamente, nel rispetto del proprio lavoro, e proprio per questo il turbocapitalismo ci schiaccia senza remore. Ciononostante, alla peggio, sacco in spalla e qualcosa si finisce per trovare. Sono sicuro che accadra’ anche al buon Giannino. Ciao. GiusCo.
E forse è proprio qui l’errore Giuseppe: per come vanno le cose oggi accontentarsi, non pretendere i ponti d’oro può essere uno sbaglio madornale… Ma dimmi, perché Real Italian Epic? A me pare piuttosto commedia all’italiana. Di quella col finale amaro però: alla Mario Monicelli… In ogni caso grazie per l’ospitalità e l’incoraggiamento. In un modo o nell’altro riuscirò a superare questo momento, e non è detto che non riesca a ripartire ancora meglio di prima.
Cara Jolanda grazie della vicinanza e dell’affetto. Sarò felice di sentirti in privato.
Un caro saluto,
Pasquale
Il mercato e’ la bestia sovrana… potremmo metterci in proprio, anche in Italia, ma servono stoffa e stazza. Ho gia’ fallito una volta. Un paio di belle robine mi frullano nel cervelletto per riprovarci (una e’ il motore http://unity3d.com/unity/ , col quale creare videogiochi anche a livello di microstudio, 2-3 persone al massimo), perche’ da dipendente prendi quel che ti lasciano, dunque briciole.
Sul real italian epic: lo scacco lavorativo dell’individuo altamente qualificato, al quale non e’ bastata la laurea ingegneristica presa da emigrato, laurea che si credeva lo affrancasse dagli stenti della vita al sud, mentre ne ha solo ricreato le dinamiche, prima come studentello morto di fame, ora come schiavo col colletto bianco. Questa e’ roba vera, sangue. Invece i pirlotti propagandari del New si beano dei nuovi mestieri di plastica (comunicatori, giornalisti dilettanti, scuole di scrittura) e cianciano ad un “popolo” che non li riconosce piu’, venendo invece ascoltati da chi -come loro- sogna i multilevel marketing, l’arricchimento facile con le catene di sant’antonio (libri informi, mestieri informi, gran paraculismo).
È proprio così Giuseppe, io lo dico da anni: la competizione – questo tipo di competizione è per pochi. E per noi del sud lo scacco è doppio: se mai riusciremo a ripartire nulla potrà ripagarci dello sradicamento subito e degli anni trascorsi a sudare sui libri, inseguendo il sogno di un riscatto che è diventato un miraggio. Una volta il titolo di studio funzionava, e dovevi impegnarti davvero per non riuscire a realizzarti. Oggi è tutto più arduo: non ci sono più regole, non sai mai quale sia la strada giusta da seguire. La vita stessa è diventata un azzardo. E lo vediamo anche sul fronte letterario, dopo anni di artigianato e gavetta non è ancora chiaro quali siano i requisiti necessari per ottenere la cittadinanza nel mondo delle patrie lettere. Che siano quelli decantati dai fanatici-opportunisti della New Italian Epic? È probabile, non sarebbero troppo distanti dai criteri usati oggi in altri ambiti: grandi fratelli, fattorie, amici nemici e chi più ne ha più ne metta.
che intendi con “cittadinanza delle patrie lettere”, forse pubblicare con mondadori ed einaudi, andare sui giornali, per radio e magari in tv a fare lo scemo? e’ anche questo un retaggio culturale da morto di fame, ma lo sai meglio di me… tantopiu’ che basterebbero due giorni dentro quel mondo per fartelo mandare affanculo di volata: mezze calzette, magnaccioni, falliti vari, ipocrisie cenciose e umoralita’ d’accatto, tutte robe che con la nostra formazione universitaria, prima che con quella umana-personale, c’entrano poco e nulla
qualcosa di quei liquami travasa anche in internet, ma a porte chiuse e’ decisamente peggio
se davvero pensi che sia la tua strada o se cerchi in questo periodo gratificazioni da quel lato, buona fortuna… ne hai bisogno prima ancora di parlare di eventuale talento letterario e di come si possa farlo fruttare
Ma no Giuseppe, intendo che se pubblichi un pezzo o un racconto su una rivista o un quotidiano te lo devono pagare. Non vedo perché un falegname ha diritto a essere pagato se costruisce una sedia e lo scrittore no. La differenza tra l’essere scrittore e provare a diventarlo sta tutta lì. Sappiamo come funziona: se hai la “cittadinanza” sono loro a pagarti, altrimenti sei tu a dover sborsare se vuoi ottenere un minimo di visibilità, e nei rari casi in cui ti pubblicano qualcosa gratis li devi ringraziare pure. Poi, è noto, gli scrittori che in Italia vivono di scrittura saranno dell’ordine di qualche decina. Tutti gli altri per vivere devono faticare… Per il resto, non credo sia tutto ciarpame. Personaggi come Montanelli, Biagi, Bocca, Massimo Fini non credo appartengano alla razza che tu dici.